Che pena usare i giornali come parafulmini

Anche Lupi come Fini, pur di non ammettere i propri errori, cerca di imputare al nostro quotidiano le colpe di fallimenti clamorosi che recano anche la sua firma

Maurizio Lupi
Maurizio Lupi

Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ciellino, lombardo, ieri mattina in tv non è riuscito a trattenersi: per giustificare il proprio salto della quaglia, cioè il passaggio dall'area berlusconiana (tornata a chiamarsi Forza Italia) a quella degli alfaniani (Nuovo centrodestra), ha raschiato il barile delle banalità dicendo che Il Giornale è stato fra le cause determinanti della scissione.

Pur senza scendere nei dettagli ovvero rimanendo nel vago, il politico sorridente e pio ha lasciato intendere che questo quotidiano avrebbe seminato tale e tanta zizzania nel Pdl da provocarne l'esplosione che ha dato luogo alla rottura. In altre parole, noi saremmo l'organo ufficiale dei falchi, dei berlusconiani duri, coloro i quali premono per spaccare tutto, governo incluso, allo scopo di sollecitare elezioni anticipate nell'illusione di farle vincere al Cavaliere e consentirgli di salvarsi dall'assedio giudiziario. Mentre Lupi e i suoi lupetti, le colombe e i polli, le oche giulive e gli avvoltoi, sono persone ammodo che antepongono gli interessi del Paese a quelli della corte di Arcore, e pertanto si sono sacrificate rimanendo nella maggioranza non per amore delle poltrone, ma per il bene degli italiani.

Grazie, ministro, com'è buono lei. Non solo perché, con uno sforzo sovrumano, ha voltato la gabbana, ma anche perché ci accredita di una potenza che non sapevamo di avere e che, scoprendo invece di averla grazie alle sue rivelazioni, ci fa venir voglia di darci delle arie. Oddio, il sospetto di essere muscolosi ci era già venuto alcuni giorni orsono leggendo il libro di Gianfranco Fini, fresco di stampa. Infatti l'ex presidente della Camera attribuisce a me addirittura la débâcle del Polo per le libertà nel 1996, in quanto a quei tempi, in qualità di direttore di questo foglio, organizzai un'inchiesta sugli uteri deboli delle connazionali, quasi tutte autorizzate dai medici (compiacenti?) ad assentarsi dal lavoro al terzo mese di gravidanza per evitare il rischio di aborti spontanei. Quei servizi giornalistici erano supportati da statistiche che ne dimostravano la serietà e la fondatezza. Ma questo Fini lo trascura.

Anziché riconoscere l'indipendenza del Giornale dalla politica, Fini afferma, senza rendersi conto di essere ridicolo, che gli elettori, informati di uno scandalo unico in Europa, voltarono le spalle ad Alleanza nazionale e a Forza Italia, favorendo così la coalizione di Romano Prodi. In soldoni, io avrei sulla coscienza la sconfitta del centrodestra risalente a 17 anni fa giacché mi permisi di dubitare della buona fede delle signore incinte e dell'efficienza dei controllori sanitari, di cui peraltro è universalmente nota l'incapacità perfino di distinguere un invalido autentico da uno falso.

Ecco. Anche Lupi come Fini, pur di non ammettere i propri errori, s'arrampica sugli specchi, cerca di imputare al nostro quotidiano le colpe di fallimenti clamorosi che recano anche la sua firma. Il desiderio di autoassolversi è comprensibile, ma è grottesco scaricare sui giornalisti i peccati della politica. Chi lo fa non considera neppure che i media, ottimi o pessimi che siano, non costruiscono la realtà ma si limitano a rifletterla, al massimo la deformano. Non ne sono mai gli artefici.
Questa semplice verità è alla portata di chiunque tranne che di Fini e Lupi. O sono ciechi o poco onesti.

Magari noi cronisti fossimo tanto influenti da condizionare i destini dei politici. In tal caso Fini lo avremmo eliminato parecchi lustri fa, viceversa si è eliminato da sé.
Quanto a Lupi, ha imboccato volontariamente la strada verso l'uscita dal Palazzo: deve solo insistere.

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