Renzi sostiene che Letta non si fidi di lui e nel giorno del suo compleanno si presenta in bicicletta all'Osteria d'Oltrarno a Firenze dove lo aspetta Aldo Cazzullo del Corriere. L'intervista che ne nasce è pimpante e il ritrattista riproduce il soggetto con colpi sicuri. Quel titolo - «Renzi dice che Letta non si fida di lui» - fa venire in mente sant'Anselmo e la sua prova ontologica dell'esistenza di Dio: «Stultus dixit Deum non esse», lo stupido dice che Dio non esiste. Ne segue la dimostrazione secondo cui chi afferma che Dio non esiste dimostra di saper bene che cosa è Dio, da cui la conclusione che Dio non può che esistere (più o meno).
Renzi non è meno ontologico di Anselmo: nega che Letta abbia ragione a diffidare di lui, ma tutto, assolutamente tutto quel che dice giustifica in pieno il fatto che Letta abbia paura di un partner che conferma con insistenza sospetta di avere delle «ambizioni» su Palazzo Chigi -la gente per strada lo sollecita ad assaltare il Palazzo d'Inverno - ma che essendo un cuor generoso e patriottico, mette avanti i rituali «interessi del Paese», ovvero la sua personale agenda. Del resto i due, Letta e Renzi, vengono dal mondo cattolico, uno democristiano, l'altro popolare, ma di sicuro non sono fatti della stessa pasta.
Renzi appartiene al genere toscano o meglio fiorentino, di quelli «che gliela cantano chiara» e «io le cose le dico in faccia». Basta rileggersi Maledetti Toscani di Curzio Malaparte per ritrovare lo stesso tono gradasso. Letta, senese senza accento, educato in Europa, incarna il modello neodemocristiano: diversamente dai vecchi De Mita o Moro, Andreotti o Fanfani (altro toscano che le cantava chiare, ma aretino) parla un perfetto francese e un fluente inglese, si presenta bene anche senza loden ed è il cocco delle Cancellerie europee nonché del Colle. Ma non ha alcuno spirito rivoluzionario. Riformista sì, ma barricadero no, coerente con la sua origine democristiana. La sua teoria è che si corre su binari stretti e senza quasi margini di manovra e che se si scarta un millimetro oltre la rotaia, si deraglia. Renzi invece vuole grandi effetti speciali e si diverte a frustare il governo e frustrare Enrico Letta.
Il sindaco di Firenze ostenta un linguaggio popolaresco e un inglese di fantasia come quello che gli ha sciaguratamente suggerito di chiamare «Jobs Act» una proposta sul lavoro. Ma questa intemperanza, il battutismo incontrollabile che gli impedisce di evitare i suoi «Fassina chi?», lo rendono pericolosamente vicino all'interpretazione (più che imitazione) che ne dà Crozza.
Insiste sulla rottamazione del Senato per risparmiare un miserabile miliardo, quando tutte le democrazie che contano hanno una Camera alta, o dei Lord, un Senato, un Bundesrat, come se fosse una trovata geniale. Quel che fa la differenza fra l'Italia e gli altri Paesi è l'uso di una Camera alta e non il monocameralismo. Ma a lui che importa: prima scrive la ricetta su file Excel e poi esige che tutti ingurgitino la sua medicina. Renzi finge di non sapere che le sue proposte richiedono i tempi biblici delle modifiche alla Costituzione: molti mesi se non anni di cammino parlamentare. Però trova più pratico l'effetto speciale delle riforme da fare in venti giorni, prima che canti il gallo delle elezioni europee, che lui vorrebbe (ma lo nega) che fossero anche politiche. Non si capisce perché, altrimenti, secondo Renzi la legge elettorale sia la prima delle priorità in assoluto. Che la considerino tale Berlusconi e Grillo che chiedono il ritorno alle urne, è comprensibile. Ma lui che collabora col governo, perché la vuole come priorità numero uno, fingendo che sia la priorità delle famiglie italiane?
Mai come in questa intervista Renzi appare come la caricatura di un partner di Enrico Letta, da cui è diversissimo anche formalmente in tutto: carattere, storia, stile, accento, statura, uso della camicia, postura, retorica, cursus honorum. Più che partner nella stessa squadra i due ormai sembrano quei fratelli siamesi di cui si sa che uno dei due dovrà morire al momento della separazione chirurgica, ma fino a quel momento sono costretti a convivere in una angosciosa finzione perché hanno lo stesso fegato e lo stesso cuore.
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