L'Italia è a un passo dall'abisso e a due dalla rinascita. Il terrore che ci paralizza nasce dal forte rischio che per andare verso la rinascita si debba o si possa cadere nel baratro. Perciò temiamo le terapie d'urto dopo averle accarezzate. Tra il coraggio e l'imprevidenza il passo è troppo breve e non osiamo farlo; ma se restiamo fermi la rovina avanza. Se fotografi l'Italia da lontano, la didascalia più adatta è una: la Grave Bellezza.
L'Italia versa in gravi condizioni di bellezza. La gravità è sotto gli occhi di tutti, la bellezza pure. Nella gravità c'è la sua malattia, il suo presente, il suo stato d'animo, la sua vecchiezza. Nella bellezza c'è la sua civiltà, la sua arte, le sue città, il suo paesaggio. Abbiamo l'hardware della bellezza e il software della gravità. E non riusciamo a cambiar programma. Abbiamo creduto che la bellezza fosse solo il display, la cartolina, e la realtà fosse un'altra cosa. Invece qui la bellezza non è la crosta né la cresta, ma il cuore, l'anima e la mente dell'Italia. Il core business, se volete. Siamo inondati dalla retorica della grande bellezza, in attesa dell'Oscar; ne parlano tutti, da Fazio a Renzi, perfino la Littizzetto, portatrice sana di bellezza. La bellezza salverà il mondo è diventata una banalità automatica, che ripetono tutti, dal Papa all'ultimo fesso.
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