Per carità, fa bene Papa Francesco ad aprire la Chiesa ai divorziati e a distinguere il peccato, da condannare, dal peccatore, da accogliere. Certo, rischia di relativizzare la sacra indissolubilità del legame nuziale davanti a Dio, ma la realtà dice che i matrimoni durano sempre meno e non si può inseguire un modello ideale di purezza quando poi gli uomini vivono in un altro mondo. Le chiese sono già deserte e i sacramenti disertati volontariamente per vuotarsi anche a causa di divieti ed espulsioni.
Quel che mi sembra un po' gesuitico, con rispetto parlando, è nobilitare la fine di un matrimonio dicendo che i separati sperimentano con dolore il fallimento del loro amore. Il dolore è di chi subisce la separazione e poi di chi ne patisce le conseguenze, economiche e non solo. Ma i divorzi nascono in prevalenza dal non sopportarsi più e pentirsi di essersi sposati, dall'innamorarsi di un'altra persona ritenuta migliore o più attraente, dalla sete di libertà, di vita, di gioia e gioventù, dai paragoni, gli esempi e le opportunità accresciute, dal progresso e dal libero mercato applicati all'amore, dalla centralità che ha assunto l'eros, dal desiderio del possibile rispetto alla prigione del reale... Non ci basta più una sola vita per sempre e crediamo solo ai paradisi qui e ora.
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