nostro inviato a Bergamo
Lo pedinavano da qualche giorno. Temevano potesse fuggire. Poi, finalmente, il fermo. Oggi il procuratore generale di Brescia Pierluigi Dell'Osso può dire che «il caso è sostanzialmente chiuso». E polizia e carabinieri si concedono una parata di conferenze stampa. «Sì, è lui l'assassino che cercavamo», dice al Giornale uno degli investigatori. Il test del Dna ha risolto un caso che pareva insolubile. Adesso il pm Letizia Ruggeri parla di «sostanziale e assoluta compatibilità fra il Dna di Massimo Giuseppe Bossetti e quello trovato sui leggings di Yara Gambirasio». Insomma, l'assassino ha lasciato una notevole quantità di Dna sul corpo della povera ragazza e l'ha lasciato in un punto che non ammette dubbi. Gli slip della vittima. Anche sulla parte interna. È scacco matto. I paragoni con altri casi famosi, vedi via Poma, non reggono. «Le spiegazioni che Bossetti potrà darci sono al limite dell'impossibile. La realtà è che abbiamo fatto centro».
Ne sono sicuri tutti. I carabinieri, la polizia, la procura.
Era il classico delitto perfetto. Non per l'abilità del killer, sia chiaro, ma per la sfacciata fortuna che l'aveva aiutato. Le telecamere rotte. Non uno straccio di testimonianza. Niente di niente. Poi invece ecco la pista del Dna che, tappa dopo tappa, arriva fino a Giuseppe Guerinoni, l'autista morto nel 1999. E lì s'incarta di nuovo per un anno e più, fino ai giorni scorsi, quando da un mazzo di 525 carte - la lista delle donne che potrebbero aver avuto un qualche rapporto con Guerinoni - salta fuori quella giusta: Ester Arzuffi, 67 anni. La signora Bossetti. La mamma di Giuseppe. E da lì si arriva al figlio. Domenica c'è il finto controllo in autostrada, a Seriate, con la prova dell'etilometro. E la conferma. È lui. Il caso è risolto.
«Diciamo anche - aggiunge un investigatore - che quando ci siamo imbattuti in Bossetti abbiamo immediatamente controllato il suo cellulare e abbiamo visto che il 26 novembre 2010 era agganciato ala cella di Brembate-Mapello». Stiamo parlando di un fazzoletto di pochi chilometri in cui si gioca tutta questa storia nera nera. La cella, a sua volta, è divisa in sottocelle e qui il discorso si fa scivoloso, fra compatibilità più o meno forti. Alle 17,45 Giuseppe Bossetti fa una telefonata, forse non lontano dalla palestra di Yara, ma la localizzazione è controversa. Si fa prima a dire che l'elemento telefonico, in attesa di perizie e controperizie, funziona al contrario: il cellulare non era agganciato alle celle, per dire, di Milano o Roma. Poi l'apparecchio tace per 14 ore. Che cosa è successo? Secondo i pm Bosseti ha tentato di violentare Yara, l'ha colpita ripetutamente con il coltello, poi le ha sferrato te colpi in testa, infine, il peggio del peggio, l'ha abbandonata ancora viva. Agonizzante ma viva. Forse pensava che fosse morta, ma Yara alla fine è stata portata via dal dolore, dalle ferite non curate, dal freddo, dalla notte, dalla paura. «L'orrore», per usare una celebre citazione letteraria. Sevizie e crudeltà, come contesta il pm.
La domanda che tutti si fanno adesso è un'altra: l'aveva adocchiata nei giorni precedenti? L'aveva pedinata o anche abbordata? Chissà. Forse sì, forse no. «Ci sono elementi logici a favore di una tesi e dell'altra, ma qui contano i fatti», risponde chi indaga. «Stiamo controllando. Stiamo setacciando il suo passato. Stiamo cercando». Interrogatori. Tabulati. Verifiche sul campo. Qualcuno ipotizza perfino l'esistenza di un fantomatico complice, in realtà al momento solo un'ipotesi. «L'indagine vera comincia adesso», fanno notare in procura. E qui entrano in gioco suggestioni quasi diaboliche e lo studio della geografia. Ci si muove in un perimetro di poche centinaia di metri. Mapello-Brembate, la palestra, i bar della zona. Vale come vale per il cellulare. Elementi double face. Tutti da pesare. In palestra lui non l'hanno mai incrociato, nei bar però sì. Chissà, se l'incontro fatale è stato davvero casuale. E poi c'è quel filo biologico che, tira tira, porta da un lato all'altro. Anzitutto, non si sa se Giuseppe, stesso nome del padre vero, sapesse di essere il rampollo di Guerinoni. Probabilmente no. Però è certo che una zia biologica, non anagrafica, la moglie del fratello di Giuseppe Guerinoni, ha lavorato come colf a casa Gambirasio fino a pochi mesi prima del delitto. Un'altra coincidenza diabolica. Ma forse solo quello.
Si scava freneticamente e nella testa degli investigatori germoglia un altro dubbio: Bossetti potrebbe essere l'autore di una striscia di delitti. Bossetti serial killer.
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