Alfano non argina i suoi E Bondi sferza i ministri: sono ambigui e traditori

Fallisce il tentativo di conciliazione del vicepremier, Cicchitto alza il tiro: disertiamo il consiglio. Ma Lupi e De Girolamo non ci stanno

Alfano non argina i suoi E Bondi sferza i ministri: sono ambigui e traditori

Roma - Si sfogano i governativi: l'accelerazione del Consiglio nazionale è un colpo di mano dei lealisti. Si sfogano i lealisti: i governativi vogliono il voto segreto perché hanno paura della conta. Ma lo sfogo più amaro è di Sandro Bondi che col Foglio scioglie le briglie: «Finisce male: non abbiamo costruito nulla di umanamente e politicamente solido». Si riferisce ai governativi, ovvio; di loro parla come di «tutti quelli che senza Berlusconi non sarebbero stati niente, soltanto rape». Sono i ministri che «non sono limpidi, sono ambigui; ed è terribile perché li ha scelti e promossi Berlusconi». Traditori fabbricati in casa. Bondi è duro: «Sono un partito nel partito, minoranza che pretende di condizionarci... Sono pronti ad accettare con una scrollata di spalle la decadenza dell'uomo ai cui devono tutto». E Bondi si ribella: «Ma io non ci sto. La legge di Stabilità non la voto e se Berlusconi dovesse decadere andrò all'opposizione». Poi giura: «Fa bene la sinistra a darci ceffoni: non abbiamo saputo costruire nulla per resistere al declino di Berlusconi. Ma tra poco sarò fuori da queste miserie: un randagio di una storia finita male».
Orgoglio e amarezza mentre il duello tra le due fazioni è sempre più aspro. Alfano le aveva provate tutte: trovare un accordo politico prima del Consiglio nazionale per evitare la conta. Tentativi andati a vuoto. L'obiettivo era stringere un patto con Berlusconi per blindare Letta: riconoscimento della leadership del Cavaliere in cambio del cemento alle larghe intese. Sia sull'economia, sia nel post decadenza. Altro obiettivo fallito del vicepremier: rimandare il Consiglio nazionale all'8 dicembre, avendo prima incassato il sì alla legge di Stabilità. Ma i suoi piani sono saltati mercoledì notte. Gli 800 si riuniranno il 16 novembre e sarà conta. Quello che i governativi non vogliono perché, un minuto dopo, o ci si adegua alla linea decisa dalla maggioranza del partito o si esce. Dramma.
In queste ore il pallottoliere impazza e dare cifre certe è un'impresa visto che molti hanno firmato entrambi i documenti: sia quello dei lealisti sia quello dei governisti. Questi ultimi giurano: siamo già 312 ma ne stanno arrivando altri 90. Totale 402, ossia la maggioranza. «Cifre a casaccio», ribattono i lealisti che mostrano i loro di muscoli: «Il documento dell'ufficio di presidenza è stato già firmato da 630 - dice un fedelissimo -. E sono pronto a giurare che al Consiglio nazionale se ne aggiungeranno degli altri». Si confida nel fatto che molti non avranno il coraggio di sfidare apertamente Berlusconi. Forse per questo Formigoni, falco degli alfaniani, prova a buttar lì: «Il nostro documento è ufficiale e le firme (tante!) stanno arrivando. Ovviamente si dovrà votare a scrutinio segreto». Fuoco di fila contro l'ex governatore: «Si vergogni», lo polverizza la Polverini; «Perché queste provocazioni?», si chiede Carfagna; e Brunetta taglia corto: «Quando ci sono scelte politiche le decisioni vanno prese a viso aperto». Già, a viso aperto. Il redde rationem è deciso anche se Cicchitto ventila addirittura l'ipotesi di disertare il Consiglio nazionale, accelerando la scissione. Ma Lupi frena: «Quando si pensa a lavorare per l'unità del partito non si pensa a disertare». Idem Nunzia De Girolamo: «Io ci sarò con l'entusiasmo del primo giorno». Ma nel Pdl son scintille.

Le ultime tra Jole Santelli, alfaniana, che auspica «che non si arrivi a una conta»; e Michaela Biancofiore che le tira le orecchie: «Mi sarebbe piaciuto sentire la voce dell'amica Santelli quando Alfano ha dato il via libera all'accettazione delle mie sole dimissioni l'indomani del 2 ottobre».

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