Psicodramma Alfano: Renzi non lo vuole e lui alza la posta su tutto; e sull’Italicum si gioca la vita o la morte. Il tutto condito da un faccia a faccia misterioso smentito dai rispettivi entourage. I due si vedranno oggi. Sono ore concitate per il Nuovo centrodestra che si presenta al primo vertice di maggioranza mostrando i muscoli. La lista dei loro desiderata è in un papiro in formato Excel buttato metaforicamente sul tavolo da Schifani, Sacconi e Quagliariello. Un summit che s’impantana prima ancora di cominciare. Primo perché si deve trovare la quadra tra ben nove sigle:Pd,Ncd,Scelta civica, Popolari per l’Italia, Udc, Psi, Centro democratico (Cd) più le minoranze linguistiche di Sud Tirolo e Val d’Aosta. Secondo perché al vertice manca chi poi decide davvero: Matteo Renzi. A provare a sciogliere i nodi il suo plenipotenziario Graziano Delrio. Si parla di lavoro, Pubblica amministrazione, crescita, fisco ma anche temi etici. Su quest’ultimo punto, quando si fa accenno alle coppie di fatto, si mettono di traverso Quagliariello e Sacconi fino a quando Andrea Romano ( Sc)non prova ad abbozzare:«Sentite, non mettiamolo in programma, lasciamo che se ne occupi il Parlamento senza vincolo di maggioranza». Delrio è spazientito con gli alfaniani: «Allora finiamola qui, non siamo abituati a lavorare così noi...». Poi, sul lavoro, è sempre Sacconi a fare le pulci sul contratto a tempo indeterminato per i nuovi assunti. Insomma,l’input è quello di Alfano: «Alzare la posta su tutto». Infatti lo stesso leader di Ncd ripete in mattinata: «Abbiamo detto “no” alla patrimoniale; “no” a un giustizialista come Guardasigilli e “no” a un ministro dell’Economia affezionato alle tasse».
La verità è che, al di là dei programmi, Alfano ha un incubo: il voto presto. Il nodo principale è la legge elettorale: l'Italicum così com'è lo schianterebbe. Cambiarlo? Renzi gli ha già fatto capire che la risposta è «picche». Altra strada: disinnescarlo. Per Alfano è di vitale importanza legarla alla riforma del titolo V della Costituzione e del Senato. Una strada lunga, quindi. L'ideale per rimandare sine die l'appuntamento con le urne. Una scappatoia ci sarebbe: il cosiddetto emendamento Lauricella, dal nome del deputato della sinistra piddina che farebbe entrare in vigore l'Italicum solo dopo la riforma del Senato. Di fronte al «no» di Forza Italia, tuttavia, è spuntato pure il cosiddetto «lodo Pisicchio» che pare non dispiaccia a Renzi. L'emendamento prevede che la legge elettorale entri in vigore un anno dopo la sua approvazione. Bene così? Niente affatto. Troppo poco. Un alfaniano in Transatlantico scuote la testa: «Ma siamo matti? - ammette - Così noi facciamo da stampella a un governo balneare, Renzi va al voto tra un anno e noi siamo spacciati». Insomma, la partita di Alfano è tutta giocata per allontanare le urne al 2018 nella speranza che Berlusconi sia definitivamente tramontato. Oppure di avere il tempo di costruire un polo di centro capace di superare le soglie di sbarramento previste dall'Italicum.
I tempi stringono, però: e tra qualche giorno Renzi dovrà presentare programma e squadra. Anche sulla squadra Angelino rischia grosso: pare che Renzi in persona non lo voglia a Palazzo Chigi per dare un segno di discontinuità con il precedente governo. Sarebbe uno schiaffo. L'ipotesi, inoltre, farebbe poi esplodere i malumori interni che non mancano. Alfano fuori da Palazzo Chigi significa che rimane solo alla guida del partito.
Partito su cui però aveva fatto un pensierino Gaetano Quagliariello, ex ministro neppure entrato nel totonomine. Da aggiungere le ambizioni dell'altro ex ministro, Nunzia De Girolamo, che mira a fare il capogruppo alla Camera al posto di Enrico Costa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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