Un altro buon motivo per mollare Letta

Le urne non sono l'apocalisse, anzi risolverebbero i tormenti di Pdl e maggioranza. Se non molla Letta salta tutto per aria

Berlusconi è imprescindibile per definizione, dunque bisognerebbe prescindere da Berlusconi. Chi in questi vent'anni lo ha votato, sostenuto, aiutato a essere quel che è e anche qualcosa di diverso, chi lo ha decrittato, chi lo ha servito senza servilismo, perché il Paese era stato gettato in un pozzo nero dai forcaioli e la sua sorridente follia serviva alla risalita, non vuole una discussione di corte.

Io, per esempio sono convinto che le elezioni non sono un'apocalisse, è la solita baggianata che ci rifiliamo poco prima di convocare i comizi, così, per spirito melodrammatico e per interessi di establishment piccini piccini. Sono convinto che il semestre europeo è una buggeratura, nessuno è in ansia per la presidenza italiana, che farà più o meno quel che fa la presidenza lituana, mettere qualche etichetta su qualche ufficio a Bruxelles, visto che tutti sanno che i poteri finanziari e burocratici e politici risiedono altrove, non certo nella capacità di fare agenda di Paesi sotto amministrazione controllata. E se proprio uno ci vuole credere, meglio la presidenza di un Paese che ha fatto i suoi conti elettorali ed è guidato da un esecutivo con un mandato chiaro e popolare. Sono anche scandalizzato, pur avendo appoggiato l'idea realistica di varare il governo di larga coalizione, dallo spirito lettiano e ministeriale di piccola squadra, di spogliatoio, di confabulazione e affabulazione senza interesse, tra palle d'acciaio e tirare fuori l'Italia dall'emergenza e riforme improponibili in questo contesto.

Capisco l'inner circle di Berlusconi, che vuole stabilità per le aziende come volle il governo dei tecnici senza elezioni nel novembre del 2011, e che tiene come me a un sigillo di pace e non di guerra e persecuzione da apporre agli ultimi vent'anni. Penso però che il voto risolverebbe i problemi al meglio. Berlusconi oggi sarebbe più rispettato e temuto come capo dell'opposizione a un governicchio transfuga o come capo di un'ala dell'elettorato in mobilitazione che come strano soggetto e interlocutore di una maggioranza che ha deciso di prescindere da lui, come se i suoi casi fossero un fatto personale. Ma tutte queste sono opinioni, non devono essere legacci ai quali incatenare il Gulliver dell'Italia di destra o di centrodestra. Faccia quel che crede, si prenda i suoi tempi visto che è indeciso, scelga per il meglio, visto che la pelle è sua ed è cresciutello abbastanza per fare un gran casino in una pozzanghera, come sempre, e poi tirarsene fuori per i capelli. Finora è sempre andata così.
Il problema dunque non è tirare il Cav dalla propria parte, lodarlo insinceramente, scortarlo, issarlo e duplicarlo come fosse El Cid Campeador alla testa di eserciti contrapposti. Il problema su cui si misura la forza, anche l'intransigenza, e la malizia, l'intelligenza di una classe dirigente è il discorso che si è in grado di fare a un grande Paese come l'Italia, in grave affanno, in un contesto europeo e mondiale, di fatti e di idee, che reclama cambiamenti decisivi, sennò è deflazione e ce la teniamo per vent'anni. E allora. Invece di fare la conta di un'assemblea di partito che non si sa se si terrà mai, fino all'ultimo minuto, e in cui non si sa che cosa veramente Berlusconi ha intenzione di dire, se mai abbia maturata un'intenzione ferma, la destra italiana o il centrodestra farebbe meglio a disfarsi e ristrutturarsi nelle sue vere correnti di tensione o componenti.

Abbiamo una specie di Tea party di casa nostra? C'è una vera ansia di lotta per ridurre le pretese e le responsabilità opprimenti dello stato fiscale? Invece di giocare a ping pong con l'Imu, si dica con certezza politica, combattività, rivolgendosi agli italiani e non al partito, di cui agli italiani frega quasi nulla, quale è la strada da imboccare. Dove si taglia la spesa. Che cosa lo Stato deve tassativamente vendere e privatizzare, e con quali alleanze sociali e politiche nell'establishment che resta in questo Paese e in Europa. Ci si mobiliterà per un piano di riforme che solo può giustificare la battaglia europea dell'Italia e di altri contro l'austerità rigorista e contro le pretese egemoniche di Bundesbank e della Cancelleria di Berlino. Si vuole costruire un partito nuovo, meno effimero dell'alleanza da cui sono venuti i guai noti, chiamata Pdl? E allora si progetti il fund raising perché questa formazione sia autonoma, si mobilitino gli imprenditori e le forze capaci di finanziare una politica vera e attiva. Non si può vivere facendo la giostra intorno agli uffici di Forza Italia e ai gruppi parlamentari, con la conta quasi quotidiana di fedeltà e ingratitudini. Così finisce a schifio.

I ministeriali se la tirano. Dicono che il Cav alla fine è con loro, per la stabilità. Ma la sfida non è aggregare per vero o per finta Berlusconi a una squadretta che vegeta. La sfida sarebbe che il ministro delle Riforme tirasse fuori qualche idea di combattimento e legasse il carro del governo e la sua agenda a veri orizzonti di cambiamento sulla legge elettorale e l'architettura di un nuovo sistema politico. Così gli italiani capirebbero di che si tratta. La legge di Stabilità dovrebbe essere discussa in pubblico, non solo nelle commissioni parlamentari, sottoposta a screening politico, non solo alla curatela del ministro tecnico dell'Economia.
Insomma. Parlare agli elettori, che comunque alle Europee dovranno votare, e preparare il terreno a un confronto effettivo con la leadership di Renzi, che per adesso sta facendo gli stessi errori di timidezza, di introversione e di politicismo che si vedono nella destra berlusconiana o diversamente berlusconiana.

Forza, fuori dalla corte del capo, che si mettano quelli ancora vivi in pasto a un Paese in crisi per tirare fuori la sua unica ricchezza, idee e propositi non superstiziosi, non flebili, per riscattare questa mortifera palude.

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