Milano Le tregue, in genere, durano poco. Quella concessa dai mercati nella prima metà di agosto rischia di cessare ancora prima di settembre, quando la nave dell'euro potrebbe incrociare sulla propria rotta due scogli. Ovvero, l'eventuale assenza di interventi da parte della Bce, cioè l'acquisto di bond periferici; e il possibile pollice verso della Corte costituzionale tedesca nei confronti del fondo salva-Stati Esm. Ma oggi come oggi, l'incognita principale riguarda il futuro della Grecia e in particolare la sua permanenza nell'euro. Atene è ancora fonte di grandi preoccupazioni per lo stato delle sue finanze. I conti non tornano, al punto che il premier Antonis Samaras vorrebbe ottenere una proroga di un paio di anni in modo da risistemare i conti senza avere il fiato sul collo di Ue, Bce e Fmi. Un'impresa quasi impossibile dopo che la troika, rivela lo Spiegel, avrebbe scoperto un «buco» più grosso di tre miliardi di euro per i prossimi due anni nei bilanci greci.
Alle richieste di Atene la Germania ha però già risposto picche, affidando a un super falco come il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, il compito di gelarne le speranze: «Gli aiuti non possono essere senza fondo. Non è pensabile mettere a punto un nuovo programma per la Grecia. Ci sono dei limiti». Samaras troverà quindi un clima piuttosto arroventato venerdì prossimo, quando sarà in Germania per una complicata missione diplomatica.
La posizione di Berlino non coincide esattamente con quella del presidente francese, François Hollande, pronto a volare giovedì prossimo nella capitale tedesca per un faccia a faccia con Angela Merkel. La Grecia non è il solo punto di attrito tra i due Paesi (c'è per esempio anche la questione spinosa dell'attribuzione alla Bce dei poteri di vigilanza sulle casse di risparmio e sulle banche cooperative), ma di sicuro è il più urgente da risolvere. Se anche dalla troika, infatti, dovesse arrivare in settembre un «no» alla concessione di ulteriore sostegno ai greci (il cui fabbisogno nel prossimo biennio potrebbe sfiorare i 14 miliardi), Atene si troverebbe di fronte a una scelta obbligata: tornare alla dracma. Jean-Claude Juncker, che domani incontrerà Samaras nella capitale ellenica, non ha infatti escluso la cosiddetta Grexit: «Tecnicamente è realizzabile», ma non «politicamente», anche perché «è carica di rischi imprevedibili» e «richiederebbe una preparazione estrema».
Eppure, un piano per affrontare l'uscita di Atene dal club della moneta unica c'è. Ad ammetterlo è lo stesso Schaeuble: anche se la prospettiva di un collasso dell'euro «è una speculazione senza senso», i governi della zona euro «sarebbero stupidi» se non pensassero a misure d'emergenza nel caso in cui le iniziative per risolvere la crisi dovessero fallire.
Ma cosa c'è di concreto sul tavolo? Ancora poco, secondo la Sueddeutsche Zeitung. «Il pacchetto non è stato ancora neppure definito nelle linee essenziali», scrive il quotidiano bavarese, poiché prima è necessario che si verifichino alcune condizioni, prima fra tutte la decisione della Corte costituzionale tedesca, attesa per il 12 settembre: se la Corte di Karlsruhe dovesse bocciare l'Esm «qualsiasi piano diventerebbe obsoleto e i Paesi dell'euro zona dovrebbero varare una strategia completamente nuova». Nel caso in cui la Grecia dovesse uscire da Eurolandia è prevedibile comunque un rafforzamento dei programmi di aiuto a Irlanda e Portogallo, per parare lo choc dei mercati. E altrettanto prevedibile sarebbe la contemporanea richiesta di credito al fondo salva-Stati da parte di Italia e Spagna, presupposto necessario affinché il Fondo proceda a un acquisto massiccio di bond di questi due stati.
Juncker ha comunque definito «non necessario questo lavoro preparatorio», visto che non si concretizzerà lo scenario peggiore, a meno che la Grecia non violi tutte le norme e non rispetti gli accordi presi.
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