L'ultima seduta dell'anno si è chiusa in ribasso per tutte le borse europee e per Wall Street. Con lo spread ancora intorno a quota 320 e con tutti gli strumenti faticosamente messi in piedi dall'Unione europea (l'Unione bancaria, il Meccanismo europeo di stabilità e il programma di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della Bce) tutti bloccati in attesa delle elezioni tedesche di settembre 2013. Ma c'è un'altra variabile esogena che condiziona l'andamento dell'economia in Europa: gli Stati Uniti. La gran parte dei nostri guai è venuta proprio dalla cattiva finanza, privata e pubblica, americana.
Il presidente Barack Obama dovrà risolvere entro oggi la questione del fiscal cliff, vale a dire l'aumento della tassazione, legato allo scadere di una serie di benefici fiscali concessi durante l'era Bush (figlio), e l'entrata in vigore di tagli automatici alla spesa pubblica (tra cui il taglio dei sussidi di disoccupazione) finalizzati alla riduzione del deficit, che scatteranno negli Usa dal 1° gennaio 2013. Il fiscal cliff vale 570 miliardi di dollari, pari al 4% del Pil degli Stati Uniti. La portata è talmente ampia da spingere il paese in recessione già dal prossimo anno e da rischiare il default.
E qui la questione inizia a riguardarci. Perché la storia si ripete. A luglio 2011, quando in Europa si è scatenata la speculazione sui titoli del debito sovrano, negli Stati Uniti la situazione economico-finanziaria era molto simile a quella attuale. Non dimentichiamo, inoltre, che anche la precedente ondata di crisi finanziaria tra il 2007 e il 2008 era partita dagli Usa dopo lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi dei mutui subprime. Serve un'operazione verità.
Il 13 aprile 2011 il governo italiano approva il Documento di Economia e Finanza (Def), d'accordo con l'Unione europea, che prevede il pareggio di bilancio nel 2014. Ad ulteriore conferma dell'impegno il governo italiano il 6 luglio 2011 vara una manovra da 80 miliardi, composta per il 61% da tagli, per il 26% da maggiori entrate e per il 13% da provvedimenti per lo sviluppo. A causa dell'aggravarsi della crisi finanziaria e dell'esplosione degli spread, il 5 agosto 2011 la Bce invia al governo italiano una lettera in cui chiede l'anticipo del pareggio di bilancio di un anno. La manovra cosiddetta «di agosto» (dl 138/2011) per 65 miliardi di euro, introduce l'anticipo del pareggio di bilancio al 2013, come richiesto dalla Bce. E la Bce acquista, quella settimana, titoli del debito sovrano italiano per 16 miliardi di euro. Ambedue queste manovre risultano di qualità ben superiore rispetto a quella che farà a dicembre Mario Monti.
Successivamente il governo italiano si impegna a una serie di ulteriori riforme, opportunamente calendarizzate e approvate con tempestività, lo stesso giorno, dal Consiglio europeo.
Manca solo un generico completamento della riforma delle pensioni di anzianità e di revisione delle norme che regolano il licenziamento dei dipendenti. Il governo Berlusconi sostiene, a ragione, di averla già realizzata attraverso: l'adeguamento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita (dl 78/2010); l'effettività dal 2010 dei coefficienti di trasformazione delle pensioni nel sistema contributivo; l'introduzione di una generalizzata «finestra» che ritarda, di fatto, di un anno il pensionamento; la perequazione dell'età di ritiro delle donne del settore pubblico con quella stabilita per gli uomini (dl 78/2009).
I mercati non dimostrano particolare interesse agli sforzi dell'Italia, lo spread continua a seguire un andamento che prescinde dalla nostra politica economica. La spirale di speculazione in cui precipita l'Italia a giugno 2011, pertanto, non può che attribuirsi alle decisioni di alleggerimento di portafoglio opache, oscure, che la principale banca tedesca, Deutsche Bank, effettua nel trimestre aprile-giugno 2011 e che comunica alle comunità finanziarie il 30 giugno 2011. È l'unica verità nel gran parlare che si è fatto della crisi e dello spread. Decisioni di Deutsche Bank coincidenti con il rischio, dall'altra parte dell'oceano, negli Stati Uniti, di default per aver sforato, come abbiamo visto, il tetto sul debito pubblico.
Alla speculazione finanziaria si aggiunge, in Italia, l'opportunismo di un'opposizione che cavalca l'onda dello spread per fare fuori un governo democraticamente eletto e l'intervento di un presidente della Repubblica non proprio collaborativo, come si rivelerà, quanto a decreti, con il presidente Monti. Il 2 novembre 2011, infatti, Berlusconi sottopone all'attenzione del capo dello Stato un decreto sviluppo ma il presidente della Repubblica non lo firma, costringendo il premier italiano a presentarsi al G20 di Cannes del 3-4 novembre a mani vuote. Ed è così che il 9 novembre, lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi raggiunge il picco di 553 punti base.
La tempesta finanziaria sui mercati e la pressione politica (interessata) spinge così alle dimissioni, l'11 novembre 2011, del presidente del Consiglio, consentendo la formazione di un esecutivo tecnico a guida Monti. Il 17 novembre, nel suo discorso alle Camere per la fiducia, il nuovo premier, appena insediato, fa suoi gli impegni contenuti nella lettera del 26 ottobre. Salvo declinarli, poi, in negativo. In particolare con l'introduzione dell'Imu sulla prima casa, che riduce il valore del patrimonio degli italiani di almeno il 20%, e con una riforma delle pensioni sovradimensionata, producendo il guaio tossico di 300mila esodati, contenute nel decreto del 6 dicembre 2011, cosiddetto «Salva Italia».
Anche a quest'ultimo provvedimento, i mercati non danno particolare rilievo, tanto che lo spread continua a viaggiare a livelli altissimi. Spread febbrili che solo la Bce riesce a «raffreddare».
Al contrario di quanto avvenuto in Europa, invece, la risposta degli Stati Uniti alla crisi è netta e decisa. E viene utilizzato lo strumento più adatto nel contesto che si è creato: la politica monetaria. Oggi ci sono tutte le condizioni perché quello che abbiamo raccontato si riverifichi. E che la minore crescita negli Stati Uniti che deriverà dal fiscal cliff si ripercuota sull'Europa. Un'Europa già stremata da un anno e mezzo di politica economica sangue, sudore e lacrime imposta dalla Germania ai paesi sotto attacco speculativo. A dimostrazione che i sacrifici fatti da questi ultimi sono serviti a poco o a nulla.
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