«Eravamo troppi, senza cibo né acqua. Chi era nella stiva vicino al motore non riusciva a respirare». Parlano i superstiti, 566, dell'ultima traversata della morte, che ha registrato una trentina di vittime per asfissia. I corpi erano ammassati in uno spazio tanto angusto da fare paura. Poco dopo la partenza volevano tornare indietro. Chiedevano di potere prendere una boccata d'aria - raccontano i compagni di viaggio in lacrime - Ma non c'era posto sul peschereccio stracolmo di gente ammassata in poco meno di 20 metri. «Credevamo dormissero, poi ci siamo accorti che stavano male. Li abbiamo tirati fuori. Erano morti. Per non lasciarli in mare li abbiamo rimessi in stiva. Sono nostri amici. Ci sentiamo in colpa».
La cronaca lascia il passo alla tristezza e all'attesa, lunga, sulla banchina del porto di Pozzallo, delle bare. Difficile raggiungere i corpi in stiva, sui quali durante la traversata vi è pure crollato il castelluccio del natante. I vigili del fuoco hanno dovuto aprire un varco e sollevare le macerie, mentre folate di vento di morte investivano chi assisteva alle operazioni. «Sembra una fossa comune, pensavo esistesse sono sui libri di storia», commenta il dirigente della squadra mobile Antonino Ciavola. A fare da contraltare la fredda risposta che un trafficante libico dà al suo complice sudanese al telefono parlando del naufragio del 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, costato la vita a 366 persone. «Inshallah! Così ha voluto Allah». E chi se ne frega. L'unico pensiero è vendere sogni a gente provata dalla guerra, sfruttando gli aiuti di Mare Nostrum. Tanto che nei primi quattro mesi dell'anno, secondo Viminale e Frontex, si è registrato un incremento di sbarchi dell'823%.
I due trafficanti di vite umane sono stati incastrati con i complici da 30mila conversazioni telefoniche in arabo e in eritreo. La Dda di Palermo ha emesso nove decreti di fermo e cinque informazioni di garanzia eseguiti dalla polizia tra Agrigento, Catania, Milano, Roma e Torino nell'inchiesta «Glauco».
Gente senza scrupoli, capace di scaricare sugli immigrati la responsabilità della tragedia, perché erano voluti partire in un unico viaggio. La loro principale preoccupazione era rendere «più credibile l'organizzazione, organizzando meglio i viaggi», già peraltro bene programmati dagli alloggi al vitto e ai passaporti falsi. Una catena di montaggio, in cui ogni membro della consorteria criminale transnazionale aveva un ruolo definito. I guadagni alle stelle. Un viaggio poteva costare anche oltre 10mila dollari a immigrato. Solo per i passaporti servivano 7mila euro, 3mila dollari per partire e ricongiungersi con chi è all'estero. Si organizzavano matrimoni di comodo per ottenere la cittadinanza.
Ermie Ghermaye, uno dei capi dell'associazione criminale incastrati dalla Dda, ha l'ardire di lagnarsi con John Mahray, anche lui indagato nell'inchiesta sulla strage di Lampedusa. «Solo questo viaggio ha avuto un'importanza mediatica elevata. In tanti sono partiti con altri organizzatori, diventando cibo per pesci e nessuno ne ha parlato».
Un business sulle spalle di immigrati e italiani. Viaggi tra violenze e soprusi, dai campi di concentramento in cui gli immigrati sono reclusi prima di partire, vigilati da gente armata che stupra, alle percosse per salire sui barconi.
Dopo l'appello del sindaco di Pozzallo, Luigi Ammatuna, la soluzione per alloggiare i trenta corpi l'ha fornita la Protezione civile provinciale di Ragusa, mettendo a disposizione della Procura una cella frigo. In manette i due scafisti di quest'ultimo viaggio cui potrebbe essere contestato l'omicidio volontario o la morte come causa di altro reato.
Unica nota positiva: il caso di malattia infettiva è varicella.
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