Questo Giorno della Memoria ha un titolo brutale nella sua concretezza, non è fatto solo di dolore, di stupore, di storia: si chiama «Gli ebrei sono di nuovo minacciati di sterminio», e punta un faro accecante su Mahmoud Ahmadinejad, presidente dell'Iran. Lo conferma anche la risoluzione votata ieri a larghissima maggioranza dall'Onu, che isola il regime degli ayatollah, condannando la negazione della Shoah, oggi la sua principale arma ideologica e strategica.
La memoria della Shoah fino ad oggi non ha avuto la capacità di evitare il ripetersi di altri genocidi, il motto «never again», «mai più» che diventò la bandiera del mondo democratico uscito dalla seconda guerra mondiale, non ha funzionato. L'Onu, basato sulla Carta dei Diritti dell'Uomo, che doveva essere lo scudo di difesa contro ogni discriminazione, ha fatto invece da amplificatore di dinamiche perverse che hanno semmai offerto rifugio all'antisemitismo e al fanatismo ideologico. Basta guardarsi intorno per vedere che dalla Cambogia al Darfur, si sono potuti e si possono sterminare uomini donne bambini innocenti senza che nessuno alzi un dito, per pavidità e o convenienza politica. Oggi persino gli ebrei, dopo quello che hanno attraversato nel passato e che sembrava anatema a qualsiasi ulteriore discriminazione e persecuzione, sono di nuovo soggetti a molteplici promesse di sterminio, quelle potentissime e ben attrezzate dell'Iran e degli Hezbollah, quella sempre meglio armata di Hamas, quella di Al Qaida e, nel sottofondo, quella di tutto l'antisemitismo anti israeliano delle chatting classes che dicono sulle riviste alla moda, nelle accademie e nei salotti: «Israele è stata un errore». Secondo un gruppo di studio di Yad va Shem, il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme, ci sono nel mondo 46 punti caldi dove sono in corso o ci si possono aspettare esplosioni di odio genocida: Zimbabwe, Burma, Congo, in Macedonia dove per ora il fuoco è stato spento dall'Europa e la Nato, a Sumatra, in Indonesia...
Dice il professor Yehuda Bauer, direttore di Yad va Shem, che ogni popolo è genocida in potenza, ma che la massa d'odio bene armata e presto dotata di bomba atomica della jihad ha precedenti solo nel nazismo. E aggiunge Nathan Sharansky, l'ex dissidente sovietico in seguito ministro in Israele, che oggi l'opinione europea per cui Israele deve sparire, è più larga di quella che nel 1939 era a favore del programma nazista di espellere gli ebrei dal Vecchio Continente. Il fatto che la maggior parte degli ebrei sia oggi raccolta in una piccola area circondata da nemici, suscita la fantasia realistica di poter condurre a un fine concreto il più lungo odio del mondo, e più volte infatti l'Iran ripete che spazzerà via Israele con un solo colpo, che per l'Iran e per il mondo musulmano, così grandi, vale comunque la pena. Ahmadinejad, il cui fine ultimo è far giungere su questa terra il Dodicesimo Imam, il Mahdi, per portare il mondo alla redenzione, non è affatto pazzo nonostante la sua convinzione messianica: l'antisemitismo totale è una chiave egemonica molto efficace per gli sciiti e i sunniti tutti.
Non c'è bambino musulmano che non venga allevato nell'idea che gli ebrei sono «cani e scimmie»: basta accendere una qualsiasi tv orientale. La piccola Basmallah, in Iran, lo ripete all'intervistatore, che la loda entusiasta; le strade di Gaza mostrano, filmati dalla Bbc, bambini che ripetono che gli ebrei sono mostri assetati di sangue e che vogliono farsi martiri della guerra per distruggere Israele; a un dibattito televisivo in Bahrein famosi intellettuali dibattono perché «il tradimento sia parte della natura di quella razza», in Egitto, in Siria, in Libano, le tv mandano in onda serial in cui la teoria della cospirazione e quella del sangue vengono plasticamente rappresentate per decine di puntate, con ebrei che tagliano il collo ai bambini per ricavare sangue per le azzime di Pasqua, e Theodoro Herzl che raccoglie soldi nei bordelli; I Protocolli dei Savi di Sion sono ovunque best seller. Ahmadinejad non si limita alla propaganda: il Daily Telegraph ha riportato ieri che un accordo con la Corea del Nord gli consentirà di sperimentare la bomba atomica entro un anno; l'acquisto di missili antiaerei russi Tor M-1 dimostra che il Paese degli ayatollah si prepara alla guerra, mentre pare sia completato il riarmo degli hezbollah e l'esercito privato di Hamas, ambedue organizzazioni impegnate a distruggere lo Stato d'Israele.
Una schiera di intellettuali e politici occidentali partecipa alla propaganda di delegittimazione: il sindaco di Londra Ken Livingstone, dice che Israele non deve esistere; Steve Walt e John Mersheimer, due professori di Yale, firmano uno studio per cui la lobby ebraica guida la politica estera americana; Jostein Gaarder l'autore di Il segreto di Sofia, vuole vedere Israele sparire; i politici europei non si peritano di affermare che Hezbollah e Hamas non sono realtà terroriste anche se da soli si dichiarano antisemiti militanti (rimando alla Carta di Hamas)...
Nel Giorno della Memoria di quest'anno le riunioni e i discorsi forse hanno qualche significato in più rispetto al consueto reciproco certificato di buona condotta che i vari partecipanti alle cerimonie attribuiscono l'una all'altra: le ragioni sono due. Quella della discussione sulla proibizione della negazione della Shoah, e le affermazioni del presidente Giorgio Napolitano sull'identificazione di parte dell'antisemitismo contemporaneo con l'antisionismo. Su questo, chi per anni ha sudato a dimostrare l'evidenza del teorema, non può che sentirsi un po' meno solo.
Quanto al negazionismo, le discussioni sulla libertà di opinione sembrano inutili: non di opinioni sulla Shoah si tratta, non si chiede se fu bella o brutta, ma se avvenne. E mai evento storico fu più provato, i testimoni sono ancora, grazie al Cielo, con noi; le foto, i documenti, non si limitano a parlare, gridano: il negazionismo, specie quello delle scuole chiamate «madrasse», è una forma di incitamento; una bugia, non un'opinione. Oggi è l'arma strategica che minaccia tutto l'Occidente, strumento di una guerra non solo contro gli ebrei.
Se vogliamo davvero dunque dire «mai più», se la Memoria deve sopravvivere e guidarci, il compito è duro. La strada è quella della politica e della diplomazia al momento; e domani, non sappiamo. Comunque, è semplice: si tratta di combattere Ahmadinejad e i suoi.
Fiamma Nirenstein
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