RomaQuando parla di sè abbassa gli occhi. Legge l'ultimo Angelus come il primo e come il penultimo. Ma saltuariamente lo sguardo di Benedetto XVI di fronte all'immensa folla si solleva sorpreso, imbarazzato, commosso, su una moltitudine che forse lui stesso non si aspettava. «Ti abbiamo amato tantissimo». «Grazie padre», gli dicono i cartelli, in italiano, e anche in molte altre lingue del mondo, in spagnolo, polacco, francese. «Nella preghiera saremo sempre vicini», sono le parole finali che il Papa dice nel giorno della sua ultima domenica, l'ultima volta dal balcone, l'ultimo abbraccio dall'alto del palazzo apostolico sulla piazza ieri riempita come nessun comizio, di nessun politico, nemmeno a San Giovanni, quarantott'ore prima, era riuscito a fare.
È la folla dei fedeli. Ma anche quella di un addio. Più di quattrocento Papaboys, delegazioni di Comunione e Liberazione, con il messaggio: «Tu dolce Cristo in terra», di Azione Cattolica, di congregazioni straniere con bandiere dall'Europa al Brasile. Oltre centomila persone a San Pietro. Seicento uomini delle forze dell'ordine, molti in borghese, controllano il colonnato. Tiratori scelti osservano invisibili sui palazzi.
Ci sono però anche famiglie casualmente in gita a Roma con passeggini al seguito, e anziani dei quartieri vicini, la gente in fondo la stessa del saluto a Woytjla, che senza un cinismo naturale per chi vede tanti Papi sfiorire e altri sorgere, spesso dice: «Questo Papa non l'hanno capito». E' il commento ripetuto tante volte da chi lascia il sagrato a fatica, nella ressa, contro la balaustra, con il telefonino sempre puntato in alto per scattare l'ultima foto, dopo che la finestra del balcone più atteso del mondo è stata chiusa.
Benedetto XVI non indugia. Dice due ultimi grazie: uno «a Dio per il sole di questa giornata», e uno «a voi, tutti». Lo chiamano per il bis ma lui non si riaffaccia. Non è un Papa rockstar, e non vuole esserlo nemmeno per l'ultimo Angelus.
Inizia subito con uno sguardo, brevissimo, alla folla sotto di lui: «Grazie per il vostro affetto». E poi con il Vangelo. E' Luca l'evangelista, e nella seconda domenica di Quaresima c'è «un messaggio particolarmente bello», quello della «trasfigurazione del Signore». Che parla del ritiro di Gesù «sull'alto monte» con Pietro, Giacomo e Giovanni. E che insegna come «l'esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell'incontro con Dio e poi ridiscendere per portare l'amore e la forza che ne derivano».
Questa parola, dice Benedetto XVI, «la sento in modo particolare rivolta a me in questo momento della mia vita». Gli applausi lo interrompono, lui sorride: «Il Signore mi chiama a salire sul monte e a dedicarmi di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi. Se Dio mi chiede questo - prosegue Ratzinger nella sua confidenza pubblica - è perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in modo più adeguato alla mia età e alle mie forze». Poi la benedizione, il saluto in tante lingue, come sempre. La folla aspetta altro. Una parola diversa, fuori dagli schemi di una liturgia imposta. In qualche modo arriva: «Vi ringrazio per la vostra preghiera in questo momento particolare per la mia persona e per la chiesa», aggiunge il Papa, socchiudendo gli occhi. Poi si leva gli occhiali, solleva il braccio per l'ultimo saluto e si ritira.
Gli studenti del Collegio messicano di Roma intonano Cielito lindo, quattro di loro vestiti con gli abiti tradizionali dello Yucatan. Dalla piazza lo chiamano ancora: «Benedetto-Benedetto». Le nuvole si chiudono su San Pietro, la selva di telefonini si abbassa. «Benedetto XVI ha fatto fare un passo in avanti alla Chiesa, mostrando umiltà e responsabilità», dice una suora della Congregazione della Maria Immacolata.
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