Scandalo Mps

"Una banca rovinata dai padrini della sinistra"

Cicchitto: "Il Pds-Ds influì sulle partite che destabilizzarono i conti"

Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto
Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto

Roma - Fabrizio Cicchitto, presidente del gruppo Pdl alla Camera, la vicenda di Mps deve rimanere fuori dalla contesa elettorale, come hanno chiesto all'audizione del ministro Grilli i centristi e il Pd?
«È un tema esplosivo e non siamo stati certo noi a farlo deflagrare. Detto questo, la vicenda ci dà la misura del fallimento gestionale della banca da parte della sinistra».
Quindi, giusto parlarne?
«Sì. E immagino cosa avrebbero detto Casini e il Pd se una cosa del genere avesse riguardato una banca in qualche modo collocabile nel centrodestra».
Come mai Casini in commissione si è fatto portavoce di chi vorrebbe sgonfiare il caso?
«Per tatticismo. Forse voleva “ammorbidire” quel “il Pd c'entra” pronunciato da Monti».
Sicuro della matrice politica delle scelte del Mps?
«Il nucleo di comando è formato in primo luogo dal Comune e dalla Provincia di Siena, da sempre collocati nell'area della sinistra. Questi centri del potere politico hanno sempre scelto i vertici, compreso Mussari. La conferma arriva dalle stesse polemiche di questi giorni fra Bassanini, Visco, D'Alema, Berlinguer padre e figlio, al punto che Bassanini imputa la sua mancata conferma a deputato al fatto di avere impedito che il Monte dei Paschi appoggiasse la scalata da parte dell'Unipol di Consorte alla Bnl».
Quindi Bersani e il Pd in genere non possono tenersi alla larga dal tema...
«Non possono fare finta che il Mps sia una banca qualsiasi. Detto questo vediamo che su alcune questioni, per altro decisive, c'è una grande reticenza».
Si riferisce a quella visione sbagliata di cui ha parlato prima?
«Sì, la destabilizzazione del Montepaschi comincia con una serie di acquisizioni di altre banche fatte all'insegna della commistione con il potere politico».
Parla dell'acquisizione di Antonveneta, di area cattolica?
«Ben prima dell'Antonveneta, nel 1999, c'è l'acquisto della Banca agricola mantovana nel cui consiglio di amministrazione sedevano Colaninno, Gnutti, Fiorani, Consorte e che fu intrecciato per molti aspetti alla scalata della Telecom. Poi l'acquisto della Banca del Salento a prezzi elevati e segnata da una chiara matrice politica. Banca peraltro portatrice di titoli assai discutibili e anche del manager, il dottor De Bustis, che li aveva inventati e che assai stranamente diventò direttore generale della Banca, il Mps, che aveva acquistato la sua».
Quindi all'origine non c'è un solo caso politico?
«Queste acquisizioni hanno cominciato a destabilizzare i conti della banca già diversi anni fa e sono avvenute per input politici. Poi l'acquisto dell'Antonveneta che vale, debiti compresi, circa 17 miliardi di euro e ha dato il definitivo colpo di grazia. A quel punto Mussari e compagni hanno cercato di spalmare i debiti ricorrendo alle operazioni sui derivati e altre. La conseguenza è che si è andati incontro a un meccanismo tipico: quello secondo il quale il debito crea debito».
Sta finendo sotto i riflettori Bankitalia e anche Mario Draghi. C'era da aspettarselo?
«Al di là delle versioni rassicuranti di Grilli ci auguriamo non ci siano altre sorprese. Anche non volendo usare questa vicenda per sparare su Draghi, tuttavia non è che la vigilanza di Banca d'Italia ne esca benissimo. Ma si apre a questo punto un'altra questione di fondo. Da qualche tempo a questa parte i tecnocrati hanno affermato, insieme ai magistrati, la loro egemonia rispetto alla politica, ma non è che da questa e da molte altre vicende emerga che la tecnocrazia bancaria è un cavaliere senza macchia».
Meglio i politici?
«Si parla dei costi della politica. Ma i costi del management delle banche dal punto di vista dei salari annui e delle liquidazioni come li vogliamo giudicare? Non parliamo poi della stock option. Il fatto è che la tecnocrazia bancaria controlla il governo, la televisione e i giornali.

E allora una serie di spiacevoli verità vengono rimosse».

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