Roma - Sono rimasti solo il governo Monti e l'Unione europea a prevedere per l'Italia un calo della crescita inferiore al punto percentuale. Ieri Bankitalia ha diffuso le nuove stime sul Pil del 2013 e ha previsto un calo del Pil dell'1% (contro il -0,2% del governo e il -0,5% dell'Ue). E così ha trasformato in certezza i timori di un'altra manovra e rafforzato la posizione di chi pensa che l'eredità dell'esecutivo tecnico sia tutt'altro che positiva.
La recessione, si legge nel bollettino, «potrebbe avere fine nella seconda parte» dell'anno. Una ripresa, ha spiegato lo stesso governatore Ignazio Visco nel corso di un intervento all'Università di Firenze, «lenta e difficile perché bisognerà continuare ad affrontare il problema della crescita strutturale».
La riduzione del Pil sarà più pesante anche rispetto alla stima che Banca d'Italia aveva messo nero su bianco nel precedente bollettino (-0,2%). Questo, si legge nel documento, «per effetto del peggioramento del contesto internazionale e del protrarsi della debolezza» dell'economia.
Male i consumi delle famiglie che «continuano a contrarsi, riflettendo il prolungato calo del reddito disponibile e la forte incertezza». Se il 2012, secondo Confcommercio, è stato il peggiore dal Dopoguerra, il 2013 segnerà un altro record negativo. Per Bankitalia ci sarà «un'ulteriore flessione dei consumi nell'anno in corso (di quasi due punti), seguita da una stabilizzazione in quello successivo». Pesa la «cautela» degli italiani nelle spese. Ma anche una contrazione del «reddito disponibile reale delle famiglie»: meno 4,3% rispetto al 2012.
Gli effetti si faranno sentire anche sugli indici che riguardano il lavoro. L'occupazione, cioè la percentuale di persone attive con un impiego, si ridurrà di un punto «e ristagnerà nel successivo». Il tasso di disoccupazione, arriverà al 12%, contro l'11,1 del 2012 e resterà a questi livelli anche nel 2014. Anche se, precisa l'istituto di via Nazionale, questi dati non sono tanto il risultato di una caduta nell'occupazione, quanto l'effetto della crescita della cassa integrazione e dell'aumento delle persone che cercano lavoro. I famosi «scoraggiati», insomma, sono sempre meno.
La fine della recessione a partire dalla fine del 2013 non è certa. «La dinamica del prodotto continua a scontare la debolezza della domanda interna; tuttavia, nell'ipotesi di una graduale espansione degli ordini dall'estero e di un'attenuazione dei vincoli finanziari, la recessione avrebbe fine nella seconda metà dell'anno in corso». Serve risparmio (che sta aumentando) e il ritorno alla crescita degli investimenti produttivi. Ma i timidi segnali di miglioramento potrebbero essere vanificati se tornassero le tensioni sui mercati internazionali e se dovesse calare ulteriormente la fiducia di famiglie e imprese.
Al netto delle tensioni nella finanza, e quindi dei maggiori costi per pagare gli interessi sul debito e delle manovre correttive del governo, avremmo avuto un segno più. A erodere il Pil è stato l'aumento dello spread che ha reso più costoso il credito (1%), le manovre correttive (un altro punto percentuale), il rallentamento del commercio mondiale (meno 0,6%) e l'incertezza delle famiglie (- 0,5%).
A conferma delle difficoltà dell'economia italiana nell'anno appena terminato, ieri l'Istat ha reso noti i dati sugli ordini dell'industria, che sono scesi dello 0,5% novembre rispetto al mese precedente e del 6,7% rispetto al novembre 2011. In 11 mesi la caduta è stata del 9,3%. È sceso anche il fatturato (meno 0,2% rispetto al mese precedente e del 5,4% rispetto all'anno scorso). Anche in questo caso a trainare verso il basso l'indice è stata la domanda interna, mentre la domanda estera ne ha frenato il calo.
I problemi dell'Italia, insomma, sono strutturali.
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