La barbarie di stangare le case sfitte

Spacciata come mezzo di lotta all'evasione, l'imposta serve solo a fare cassa

La barbarie di stangare le case sfitte

La legge di Stabilità (in vigore dall'1 gennaio scorso, ma con effetto retroattivo dal primo gennaio 2013) prevede che «il reddito degli immobili a uso abitativo non locati situati nello stesso comune nel quale si trova l'immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all'imposta municipale propria, concorre alla formazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle relative addizionali nella misura del cinquanta per cento». Si tratta del ripristino di un'imposta che era stata abolita nel 2011 (governo Berlusconi), con lo stesso provvedimento col quale si istituì la cedolare secca.

La reintroduzione dell'imposizione sulle case non locate - «suggerita» da Confindustria - nasce dall'esigenza di «fare cassa» in tutti i modi e frutterà più di 500 milioni di euro: è la consueta, spiccata preferenza della nostra burocrazia e di certa classe politica a gravare sempre sugli immobili, nell'intendimento di colpire una ricchezza che peraltro non è più tale sia per l'abbattimento dei valori che si è avuto sia - soprattutto - perché si ha ricchezza solo quando una proprietà può essere venduta. Imposta per «fare cassa» a carico di una ricchezza presentata come statica dalla stampa oligopolista che ignora che la ricchezza immobiliare ha anche una componente dinamica, del tutto azzerata da uno smodato fiscalismo quando avrebbe invece dovuto essere valorizzata e potenziata.

La reintroduzione è stata spiegata con la lotta all'evasione, presumendosi che gli immobili non locati lo siano in realtà irregolarmente. Si è preferito pensare a incassare di più e reintrodurre un'imposta di particolare iniquità piuttosto che a disporre facili ispezioni.

Gli immobili sono infatti quelli che i piccoli proprietari vorrebbero concedere in locazione senza trovare inquilini disponibili. In molti casi si tratta anche di immobili che i proprietari utilizzano direttamente come locali di deposito o che non possono locare - per possibili esigenze personali o di figli - o per le lunghe durate contrattuali tuttora previste da una normativa d'altri tempi e che tiene anchilosato il mercato nell'uso abitativo per non parlare dell'uso diverso.

In altri casi, poi, gli immobili non vengono locati perché bisognosi di ristrutturazioni, per effettuare le quali i proprietari non dispongono dei mezzi necessari, data la mancanza totale, o quasi, di redditività della locazione nei tempi attuali (stretta com'è fra le alte tasse, la conseguente esigenza di non praticare canoni al di sotto dei livelli delle stesse e la non possibilità di rinvenire inquilini con idonee capacità reddituali, dato il periodo di crisi). Su tali immobili improduttivi di reddito - giova ricordarlo - i locatori sono comunque costretti, oltre che a pagare l'Imu (solitamente con aliquota massima), a sostenere tutti gli oneri propri di un bene come questo: contributi condominiali, spese di manutenzione, eccetera.

È su questi locatori che si abbatterà, ancora, una specifica tassa in più (e questo, a parte la vecchia Imu e la nuova Tasi o Imu bis, meglio): tributi ai quali - in virtù di altra legge - si aggiungeranno le spese dovute alla presenza negli immobili di morosi «incolpevoli» per lunghi periodi essendosi voluta aggiungere alla già lunga graduazione dell'autorità giudiziaria e degli ufficiali giudiziari anche una terza, nuova graduazione, affidata ai prefetti e cioè a rappresentanti del governo e dallo stesso nominati con assoluta discrezionalità.

Insomma, alla mancanza di reddito (e alla presenza solo di spese, anche determinate dal governo) si aggiunge un'imposta non si sa su che cosa se non sulla sfortuna di non riuscire - molte volte per colpa della situazione urbana creata dalla mano pubblica - a trovare un inquilino.

Una barbarie senza confronti, soprattutto considerando che i locatori non possono neanche pattuire un canone inferiore al 10% del valore catastale (per ipotesi, pur di

trovare un inquilino) per effetto di una norma che lo stesso Stato che li perseguita ha posto (articolo 41-ter, DPR 600/73), e ciò se non esponendosi alle ispezioni dell'amministrazione finanziaria.

*Presidente Confedilizia

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