Befera: "Tasse più basse grazie ai soldi degli evasori"

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate: "All’erario la ricchezza piace, ma non quella occulta"

Befera: "Tasse più basse  grazie ai soldi degli evasori"

Attilio Befera, direttore del­l’Agenzia delle Entrate, ha la fama di sceriffo, ma se parla da cittadino non si fa problemi a infrangere quello che per altri è un tabù: le tas­se vanno abbassate, magari pro­p­rio utilizzando i proventi della lot­ta all’evasione. Da vertice dell’am­ministrazione fiscale, fa una pro­messa: il redditometro non sarà uno strumento anti lusso: «Al fisco la ricchezza piace». Parla anche delle delega fiscale, in arrivo, forse oggi, al Consiglio dei ministri: «L’unica cosa che posso dire è “ben venga” perché noi abbiamo un sistema che risale agli anni Set­tanta e la­scia troppi spazi per l’elu­sione e l’evasione. Una delega che aggiorni e semplifichi non può che essere ben vista dall’Agenzia dell’entrate.E noi daremo il massi­mo contributo ».

C’è una relazione tra evasione e complessità del fisco?
«Più che altro con l’elusione, perché ci si può infilare più facil­mente in norme che non hanno co­erenze
precise tra di loro. La com­plessità del fisco rende più difficile il nostro lavoro e aumenta i costi amministrativi per le imprese».

Per fare aumentare la fedeltà dei cittadini al fisco bisogna ab­bassare la pressione fiscale?
«Da cittadino rispondo che sa­rebbe utile utilizzare per la riduzio­ne delle imposte i proventi del re­cuperodell’evasione. Questocon­tribuirebbe anche a cambiare il modo di pensare, non consideran­do più un furbo chi evade».

Il Garante della privacy ha criti­cato il monitoraggio dei conti correnti.
«Dal 2008 a oggi è stata forte­mente rafforzata la lotta all’evasio­ne con vari strumenti, compreso questo. La reazione del Garante, alla luce dei grandi principi, è com­prensibile, ma occorre tener con­to della grande piaga dell’evasio­ne che affligge il nostro Paese. Se riuscissimo a portare ad un livello fisiologico l’evasione è evidente che certi provvedimenti potrebbe­ro essere modificati o ridotti, com­preso questo».

Ha citato due misure prese dal governo Berlusconi. Quindi non è stato solo il governo Mon­ti a combattere l’evasione...
«Rispondo come tecnico, non come politico. Dal 2008 abbiamo incrementato il recupero dell’eva­sione. Siamo passati da quasi sette miliardi di euro agli oltre 12 di que­­st’anno, anche grazie a provvedi­menti normativi presi da tutti i go­verni che si sono succeduti in que­sti anni. È un fatto».

L’Agenzia ed Equitalia sono di­ventati il simbolo di un fisco che non tiene conto della crisi..
«Tutto quello che ho detto e fat­to dal 2008 fino ad oggi è creare un soggetto che, anche nel momento dell’accertamento, ispiri fiducia. Equitalia soffre il fatto di essere l’ul­timo tassello di una filiera. Riscuo­te e risente di tutti gli errori che si fanno a monte. Spesso vengono imputati a Equitalia errori o disfun­zioni che sono dell’ente imposito­re. Classico esempio: un giudice di pace che dà ragione a un cittadino e annulla una multa, ma il comu­ne non lo comunica e la cartella parte. La colpa non è nostra».

Quando entrerà in vigore il nuovo redditometro?
«Penso a maggio. Metteremo a disposizione dei contribuenti il software per capire se sono tra i sog­getti ch­e possono avere un control­lo da parte nostra. Ma, sia ben chia­ro, quando l’accertamento sinteti­co rileva­un gap tra reddito dichia­rato e reddito speso, questo non si­gnifica assolutamente che siamo di fronte a un evasore».

Funzionerà?
«Nel maggio del 2011 abbiamo mandato a 50mila contribuenti una lettera dove si rilevava l’incon­gruenza.
La metà di questi contri­buenti ha avuto un incremento di reddito dichiarato di 182 milioni di euro. L’altra metà ha spiegato e motivato l’incongruenza».

Quindi c’è un effetto deterren­za. Ma rispetto al vecchio reddi­tometro perché il nuovo do­vrebbe funzionare meglio?
«Il vecchio prevedeva un mecca­nismo automatico di determina­zione del reddito e si basava su in­dicatori anni Ottanta. Il nuovo red­ditometro si basa su più di cento voci di spesa. È un elemento di sele­zione del rischio, non c’è nessun automatismo, siamo noi che poi verifichiamo».

Resta il fatto che chi acquista beni di lusso rischia di attirare le vostre attenzioni...
«No. Su questo voglio essere chiaro. Il redditometro non misu­ra le spe­se voluttuarie o quelle indi­cative di ricchezza.
Il fisco è a favo­re della ricchezza, non contro. Più si è ricchi, più si consuma, più si crea Pil, più si pagano imposte. Ben venga chi compra grandi auto­mobili: ha mosso l’industria e ha pagato l’Iva. Il fisco è interessato a scovare la ricchezza occultata da chi non ha assolto l’obbligo tribu­tario. Vogliamo un rapporto di fi­ducia con i contribuenti».

Anche con le imprese?
«Proprio grazie ai nuovi stru­menti, che ci permettono di sele­zionare meglio il rischio di evasio­ne, l’anno scorso i controlli sulle Pmi e sui lavoratori autonomi so­no diminuiti del 20%, e l’obiettivo monetario è restato invariato. Da 221 mila controlli siamo passati a 177 mila nel 2011. Quindi meno
controlli, ma più efficaci».

Dalle esperienze che ci raccon­tano i nostri lettori, non sembra che il fisco punti sempre a con­quistare la fiducia dei cittadini...
«Il personale dell’Agenzia, e in particolare gli 8.000 giovani che ab­biamo assunto negli ultimi 10 an­ni, sono costantemente sensibiliz­zati sull’importanza di essere al servizio dei cittadini con correttez­za e trasparenza».

Anche gli studi di settore non si tramutano direttamente in ac­certamento?
«È anche quello un indice che può evidenziare anomalie, ma de­v­e dare luogo ad attività di control­lo. Non è uno strumento di accerta­mento automatico».

Il contribuente è comunque in una posizione di debolezza di fronte al fisco. E può essere por­tato ad adeguarsi anche ad uno studio di settore errato...


«C’è un uso sempre più elevato da parte dei contribuenti delle an­notazioni, in dichiarazione per spiegare le discrepanze. Sono sta­te 300mila nel 2010, erano solo 5.000 nel 2005. Di queste, 300mila, quasi 54mila segnalano problemi legati alla crisi».

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