Bersani assediato dagli «amici»

Bersani assediato dagli «amici»

Dovevano essere una passeggiata, e rischiano di diventare l’ennesima stazione di una via crucis. Dovevano segnare la conferma di una politica, di un sistema di alleanze e soprattutto di una leadership, e potrebbero trasformarsi in una trappola. Le elezioni amministrative sono diventate uno spauracchio per il Pd, e sebbene azzardare una previsione nel giorno del voto sia quantomeno imprudente, anche a Largo del Nazareno c’è chi non nasconde le preoccupazioni e chi già affila le armi per il dopo. Non è che a destra si stia molto meglio. Ma fra le forze principali dei due schieramenti (ammesso che esistano ancora) c’è una differenza profonda, politica e psicologica: il Pdl ha appena perso il governo, il Pd si propone di conquistarlo. Il partito di Berlusconi viene da una sconfitta, quello di Bersani da una vittoria: la caduta, appunto, di Berlusconi. Che poi questa caduta non sia dipesa dal Pd e dal resto dell’opposizione, ma dallo spread, dall’Europa e dal Quirinale, è un dato che al Nazareno hanno preferito minimizzare, e che oggi tuttavia gioca contro Bersani, perché ne svela l’impotenza politica.
La prova sta nell’affermazione fatta dal leader del Pd pochi giorni fa: «Siamo contrari alle elezioni a ottobre perché non vogliamo vincere sulle macerie del Paese». La solenne dichiarazione, sollecitata dal Quirinale, ha un suo senso politico preciso e, da un certo punto di vista, dimostra senso di responsabilità. Ma significa che il Pd riconosce di avere le mani legate, di non essere padrone delle proprie scelte, e di non essere oggi in grado di governare, perché candidarsi a farlo equivale a trasformare l’Italia in un cumulo di «macerie».
Difficile in queste condizioni raccogliere i consensi che il presunto ko tecnico dell’avversario avrebbe dovuto favorire. Andata in frantumi l’alleanza Pdl-Lega, infatti, il Pd contava di vincere a mani basse. Ma le cose rischiano di andare in un altro modo, e l’erosione del voto democratico appare palpabile negli ultimi sondaggi riservati. Dopo aver ceduto parte dei propri voti a Vendola e a Di Pietro, soprattutto dopo la nascita del governo Monti, oggi il Pd si vede assediato da Grillo, i cui elettori potenziali, per una ricerca di Analisipolitica, provengono per un terzo dal Pd, per un terzo dal non voto e per un terzo da tutti gli altri partiti messi insieme. In altre parole, ciò che Bersani non ha perso a sinistra (verso Idv e Sel), rischia di perderlo verso l’«antipolitica». Non per caso il segretario del Pd ha proposto di dimezzare il rimborso elettorale ai partiti, nel tentativo di cavalcare l’ondata antipolitica dopo aver tentato di lucrare (elettoralmente) sull’opposizione sociale. Ma chi protesta contro i partiti voterà Grillo, e chi protesta contro il governo voterà Di Pietro o Vendola.
Se poi si percorre più attentamente l’Italia che oggi e domani va alle urne, ci si accorge che, da Genova a Palermo, l’eventuale successo del candidato di sinistra non si traduce affatto - come già è accaduto a Milano e a Napoli - in un successo democrat. Leoluca Orlando non sarà De Magistris (semmai, è De Magistris a fare il verso all’Orlando di 25 anni fa), ma la sua candidatura a Palermo è un dito nell’occhio del Pd, che in Regione governa con Lombardo e nel capoluogo appoggia un ex orlandiano divenuto dipietrista. Come a dire: chiunque vinca, il Pd va in sofferenza. La probabile vittoria della sinistra a Genova è appena meno problematica: il candidato, Marco Doria, ha vinto le primarie con le insegne di Sinistra e libertà e si presenta coi colori arancioni del suo compagno di partito Pisapia. Se queste sono le premesse, è probabile che dal voto amministrativo esca a sinistra un quadro ancora più frammentato, dove il peso specifico del Pd (che nel 2008 aveva il 33%) sembra destinato a diluirsi ulteriormente. È su questo sfondo che bisogna leggere l’editoriale del Fatto di ieri: Paolo Flores d’Arcais lancia un accorato appello a Beppe Grillo (dopo averlo accusato, manco fosse Berlusconi, di aver dato al suo movimento un «carattere padronale») perché esca dall’isolamento e partecipi alla fondazione di «una lista della società civile dentro e contro la coalizione di centrosinistra».

Perché se così non è, se insomma in un modo o nell’altro i voti (potenziali) del Movimento 5 Stelle non rientrano nel recinto del centrosinistra, il risultato è che alle prossime elezioni il centrodestra potrebbe vincere senza neppure sforzarsi troppo. Un incubo, per i dissanguati generali del Pd.

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