
Da Piacenza, dove è tornato giovedì sera colpito da un virus influenzale, Pierluigi Bersani fa sapere che «siamo pronti ad accompagnare responsabilmente il percorso » di Napolitano. Ma anche che per il Pd «l’asse»rimane quello di«un governo di cambiamento e una convenzione per le riforme». Ossia lo schema su cui ha difeso fino all’ultimo il proprio incarico di governo.
Quel preincarico, ufficialmente, nessuno glielo ha ancora levato, nè lui ha ufficialmente rinunciato, e un altro incaricato non c’è e non è alle viste. Ma dal Quirinale, ieri, tagliavano corto: «Con le sue dichiarazioni di oggi Napolitano ha tirato una riga», l’ipotesi non è più in campo. E ora, nel Pd, può aprirsi da un momento all’altro il processo al segretario. Una nuova riunione della Direzione non è ancora stata fissata, ma tutti dicono che dovrà essere «a breve». E che «dopo due Direzioni finte, in cui la parola d’ordine era “non disturbiamo il manovratore”, questa sarà quella vera». Ossia quella in cui si faranno sentire le voci di chi imputa a Bersani «una ossessiva rincorsa di Grillo che ci ha fatto finire in un vicolo cieco e ci ha riportato indietro di anni, totalmente schiacciati su Sel », come accusa un ex Ppi; una gestione troppo chiusa del partito («Si fida solo di due o tre emiliani, non coinvolge nessun altro nelle decisioni», è il lamento diffuso); e soprattutto - a più di un mese dalle elezioni- «un risultato elettorale disastroso: eravamo al 33% e siamo finiti al 25%, eravamo nelle condizioni ideali per vincere e siamo riusciti a perdere», come dice un veltroniano. Peraltro, la prossima riunione del parlamentino Pd coinciderà anche con l’avvio delle procedure congressuali, che a norma di statuto deve essere convocato entro il 24 aprile, per tenersi (con annesse primarie per il leader) in ottobre. Chi si aspetta cruente deposizioni o mozioni di sfiducia al segretario, dunque, resterà deluso: «la ruota girerà entro il 2013, io non sarò più segretario », aveva annunciato Bersani, e così sarà. Certo lui si aspettava di farla girare da Palazzo Chigi, ma è andata diversamente.
Di certo, nel Pd non si registragrande entusiasmo per la mossa di Napolitano sui «saggi ». «Originale, ma non è chiaro cosa possa produrre», si limita a dire Gianclaudio Bressa. Un altro franceschiniano, più maliziosamente, fa notare che «l’unico precedente di “assemblea degli esperti” è nella costituzione iraniana. Spero non sia stata quella l’ispirazione».Il fatto è che, al di là del ruolo dei saggi, il loro perimetro politico (Pd,Pdl e montiani)indica chiaramente il perimetro della maggioranza possibile secondo il Colle, quella che dovrebbe far partire nel prossimo futuro il governo del Presidente. Pochissimi però credono che sia fattibile, e anche in casa renziana ci si prepara alla possibilità di elezioni molto ravvicinate: «Se si vota a luglio, bisogna capire se si riescono a fare le primarie e a trovare un competitor, che a Matteo serve perché non vuole essere il candidato dell’apparato » , spiega uno spin doctor del sindaco. Se invece si vota dopo l’estate, Renzi dovrà decidere se scendere nell’arena congressuale.
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