Politica

Ecco perché i veri impresentabili sono i giudici

La morale rovesciata: il Pd si piega ai diktat dei professionisti della giustizia

Bersani a Milano per lanciare la campagna elettorale di Ambrosoli
Bersani a Milano per lanciare la campagna elettorale di Ambrosoli

È più impresentabile un amministratore locale rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, o un pubblico ministero che usa inchieste delicatissime per scalare le classifiche della popolarità e infine fondarsi un partito personale? È più impresentabile un politico su cui indaga un magistrato, o un magistrato che indaga per anni senza riuscire a concludere l'inchiesta? E infine: se a decidere chi sia presentabile e chi no è una Procura della Repubblica, a che serve presentarsi agli elettori?
La decisione del Pd di espellere dalle liste tre parlamentari uscenti, e di indurne altri due a farsi da parte in silenzio, è un nuovo, drammatico punto di svolta. Il sacrificio rituale dei presunti colpevoli offerto alla folla plaudente è la versione massmediatica delle esecuzioni in piazza allestite dai tiranni di un tempo per ammansire il popolo. Qui la giustizia non c'entra niente, e neppure il giustizialismo: colpiscono e allarmano, semmai, la perversione del pensiero, il rovesciamento dei valori, la resa incondizionata e umiliante al circo mediatico-giudiziario (la campagna contro i presunti innocenti, naturalmente, è stata scatenata dal Fatto).
Chi sono, questi pericolosi e disonorevoli «impresentabili» che Bersani ha cacciato dal Parlamento? Stupratori seriali, mafiosi pluriomicidi, miliardari supercorrotti? Vediamoli. Antonio Papania ha patteggiato 2 mesi e 20 giorni per abuso d'ufficio. Vladimiro Crisafulli è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio, mentre la sua posizione nell'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa è stata archiviata. Nicola Caputo è indagato per rimborsi falsi come consigliere regionale. Bruna Brembilla, indagata nel 2008 per rapporti con la 'ndrangheta, è stata prosciolta da ogni addebito: ma c'è un'intercettazione ambigua che la riguarda. Antonio Luongo, infine, è stato rinviato a giudizio per corruzione.
Tutto qui? Sì, tutto qui. Gli impresentabili sono un condannato a due mesi, un indagato, due rinviati a giudizio e un'intercettata prosciolta. Resta invece in lista, tanto per fare un esempio comparativo, Rosaria Capacchione, sotto processo per calunnia ai danni di un sottufficiale della Guardia di finanza. Forse l'etichetta di «giornalista anti-camorra» l'ha salvata, forse la (presunta) calunnia ad un finanziere è considerata più presentabile di un (presunto) falso rimborso spese. Di certo, la tentazione di pensare ad una «giustizia politica» interna è forte, e fondata: nel seguire ogni desiderio della magistratura inquirente, il Pd di Bersani riesce anche a distinguere fra reato e reato, fra imputato e imputato, dannando chi è soltanto un politico professionista e salvando chi invece è un professionista della «giustizia». Come è potuto accadere tutto questo?
La difesa dell'immunità parlamentare è sempre stata una bandiera della sinistra per una ragione soprattutto: la diffidenza verso il potere costituito, di cui la magistratura era percepita come parte integrante e braccio operativo. La storia, del resto, parlava chiaro: nel Ventennio la magistratura si lasciò facilmente convincere a collaborare con il regime, e nel Dopoguerra la Dc, anziché epurare i magistrati compromessi, li promosse e se li fece amici per sempre.
Oggi le parti sembrano rovesciate. Alla magistratura viene concesso un potere discrezionale che non ha precedenti, le sue scelte non vengono mai messe in discussione (nonostante clamorose cantonate, come l'inchiesta su Del Turco che costò al centrosinistra la guida dell'Abruzzo), e ogni indagato è subito bollato con l'infamia della colpevolezza. In cambio, il Pd riceve gli applausi dei moralisti di professione e spera di togliere qualche voto all'unico vero impresentabile di questa campagna elettorale, il pm Antonino Ingroia.
Ma c'è anche un tornaconto più immediato. O meglio, questa è l'impressione se si guarda a tre casi giudiziari che in qualche modo riguardano Bersani. Filippo Penati, ex coordinatore della sua segreteria politica, è scomparso dai radar e può vantare il primato di essere l'unico uomo politico di cui non si dispone né di un verbale, né di un'intercettazione. Vasco Errani, prossimo sottosegretario a palazzo Chigi in caso di vittoria, è stato prosciolto da ogni addebito per il finanziamento alla cooperativa del fratello.

E l'inchiesta su Zoia Veronesi, storica segretaria di Bersani, pagata dalla Regione Emilia-Romagna e indagata per truffa, è prossima all'archiviazione.

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