Bersani temporeggia sul Prof: «Vediamo da che parte starà»

Bersani temporeggia sul Prof: «Vediamo da che parte starà»

RomaParlare con Monti? Sì, secondo il segretario del Pd è possibile. Però dopo le urne. Come a dire: prima chiediamo il voto agli italiani (compresi quelli che si fidano più di Vendola che dello spread). Poi, a bocce ferme, sediamoci al tavolo con i moderati che vogliono il ritorno di Monti a Palazzo Chigi. Questa in sintesi la strategia che il vincitore delle primarie del centrosinistra ha in animo di portare avanti nei prossimi mesi. Posto che il nemico è il solito Berlusconi, tutti gli altri possono essere complici, sodali, amanti. Insomma, in una parola alleati. Anche quel professor Monti tanto inviso all'ala dura e pura di Sel («conservatrice» secondo la definizione dello stesso premier) che con la sua «salita» in politica rischia di scompaginare un quadro di riferimento già ben precisato dopo la sconfitta di Renzi alle primarie del centrosinistra.
Il problema di Bersani, però, non è Monti (o meglio non è il maggiore). È da quella vecchia volpe vetero democristiana di Pier Ferdinando Casini che il segretario del Pd vuole difendersi. Parlando a Repubblica alla vigilia di Natale, il leader dell'Udc ha infatti posto una netta differenza tra il suo atteggiamento e quello morbido del premier nei confronti di una possibile alleanza con il maggior partito del centrosinistra: «Se si vuol fare l'alleanza col Pd - spiega Casini - la si deve fare alla luce del sole e fin da adesso». Come a dire: liberati da Vendola, dalla Camusso e dalla Fiom e possiamo andare a braccetto verso il traguardo di Palazzo Chigi. Piuttosto che rispondere a Casini, Bersani preferisce mostrare massima disponibilità per un eventuale accordo post elettorale con gli alfieri dell'agenda Monti. «I democratici - spiega il segretario del Pd ai microfoni del Tg2 - hanno rispetto per Monti, l'hanno sostenuto in momenti molto difficili. Rispettano la sua scelta di salire in politica: aspettiamo di vedere se significa mettersi sopra le parti o con una parte». Poi a proposito dell'agenda Monti, Bersani puntualizza: «Lì non c'è niente di sorprendente, c'è qualcosa che si può condividere e qualcosa no, ma il nostro programma contiene più equità e più diritti».
Se poi gli si chiede conto dell'alleanza elettorale con Vendola, Bersani risponde infastidito: «Quante complicazioni!» Una domanda lecita, si badi bene. Prima del Tg2 gliel'aveva posta Casini. Però il risultato non cambia: la risposta non dice niente in proposito. Segno che anche dalle parti del largo del Nazareno l'attendismo ha preso piede: «Siamo di gran lunga il primo partito del Paese, riformista e aperto. Siamo alternativi a Berlusconi, alla Lega e ai populismi. Quindi aperti a dialogare con chi è contro Berlusconi, Lega e populismi».
Intervistato dal Financial Times, Bersani ha ribadito il proprio appoggio alla linea Monti, almeno per ciò che riguarda il patto fiscale, il rigore di bilancio e l'adesione al piano di Berlino. «Una dura disciplina di bilancio - spiega al quotidiano economico britannico - non è negoziabile, ma bisogna aumentare gli investimenti in infrastrutture e innovazione». Posizione che lo rende meno sgradito anche agli occhi di chi, come Pietro Ichino, ha già fatto una scelta di campo abbandonando la casa del Pd per il nuovo progetto montiano.
L'ultimo scoglio da affrontare prima di abbandonare l'alleanza con Vendola resta quello del voto identitario. Ed è un outsider del Pd come Mario Adinolfi a sottolinearlo. «Bersani ha vinto le primarie, ma ancora non è chiaro se il Pd subirà più le istanze del 14% che ha votato per Vendola o del 40% che ha votato per Renzi».

L'impressione, conclude Adinolfi, è che «si voglia imprimere alla coalizione una dimensione identitaria di sinistra novecentesca e questo non sarebbe solo un errore politico, ma esporrebbe il Pd al rischio della sconfitta».

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