Mario Monti inizia a togliersi il loden del «tecnico» e considera ormai molto seriamente l'idea di un ingresso in politica tout court. Non tanto perché questo raccontano alcuni suoi amici storici della Bocconi, anche un po' stupiti da quanto l'avventura a Palazzo Chigi l'abbia «preso» e «appassionato». Quanto perché uno freddo e calcolatore come lui mai si sarebbe prestato a partecipare a un vertice del Ppe se nella sua testa non ci fosse una strada già abbondantemente segnata.
Un invito, quello del Partito popolare europeo, che è stato costruito e gestito nel più piccolo dettaglio, con più di un sondaggio su Palazzo Chigi. E solo preso atto che Monti avrebbe «molto gradito», è arrivata la richiesta ufficiale di Martens. Gestita come una sorta di segreto militare se fino a questa mattina erano in pochissimi a saperlo tanto che al suo arrivo all'Academie Royale de Belgique ad attenderlo all'ingresso non c'erano né telecamere né giornalisti. Anche a Berlusconi viene comunicato poche ore prima del vertice.
E che Monti volesse essere al vertice per farsi in qualche modo chiedere di scendere in campo lo dimostra il fatto che non disdegna di fermarsi davanti al «mucchione» di telecamere e fotografi. Non è un dettaglio, visto che quando il premier non vuole parlare ci riesce senza alcun problema come sanno bene i giornalisti che l'hanno seguito per quattro giorni nei Paesi del Golfo senza avere fisicamente la possibilità di fargli una domanda una sulle vicende italiane (nello specifico Montezemolo che aveva appena annunciato la lista per Monti).
Insomma, se a Bruxelles le cose vanno diversamente è perché il Prof vuole metterci la faccia. E lo fa. Per spiegare che ha «illustrato la situazione politica italiana» e assicurare che «qualunque sia il prossimo governo si collocherà nel solco di una partecipazione convinta nell'Ue». Si limita a queste poche battute Monti, salvo poi descrivere dettagliatamente l'ordine degli interventi: dopo di lui Il Cavaliere, poi la Merkel e il premier lussemburghese Juncker, quindi il presidente della Commissione Ue Barroso, «poi di nuovo il presidente Berlusconi e infine io brevemente e Martens». Un modo educato per dire che, al netto del presidente del Ppe, è stato lui a tirare le somme.
Una visita, quella di Monti, a cui fanno seguito gli elogi e il sostegno di tutto il Ppe. Anche se Berlusconi è il solo a chiedergli espressamente di candidarsi. «Capisco la fatica di diventare in qualche modo un uomo di parte, ma spero che voi possiate convincerlo», dice il Cavaliere rivolto ai presenti. Nessuno si spinge a richieste esplicite anche se, spiega l'influente eurodeputato della Cdu Brok, c'era un «good feeling». Tutti, insomma, sono d'accordo su una discesa in campo di Monti. Che ha preparato nel dettaglio la sorpresa di Bruxelles. Non solo per l'inaspettato «bubusettete» al vertice del Ppe, ma pure per la valanga di apprezzamenti che gli arrivano. D'altra parte, la scelta di accettare l'invito di Martens rischia di essere uno spartiacque. In questo anno da premier, infatti, Monti avrebbe potuto partecipare ai vertici in questione, cosa che pur non essendo iscritto al Ppe faceva quando vestiva i panni di Commissario Ue. Invece no, perché - questa era stata la spiegazione - avrebbe inficiato il suo profilo «tecnico». Ha pensato di andarci ora che, come ricorda l'interessato, è dimissionario e si occupa «solo degli affari correnti».
È evidente, insomma, che la decisione di scendere in campo è ad un passo.
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