La Boccassini spara sul Cav: "Sei anni di galera e fuori dalla politica"

Il procuratore aggiunto chiede l'interdizione perpetua dai pubblici uffici: "Ad Arcore sistema prostitutivo"

La Boccassini spara sul Cav: "Sei anni di galera e fuori dalla politica"

Boccassini contro Berlusconi, ultimo atto. Da oggi il destino processuale del Cavaliere è nelle mani dei suoi difensori, e soprattutto dei giudici che il 24 giugno emetteranno la sentenza del caso Ruby. All'atto finale d'accusa contro il suo imputato di tanti processi, Ilda Boccassini ha dedicato ieri una intera udienza di requisitoria. Non lo ha maltrattato verbalmente, non ha offerto titoloni ai giornali o frasi ad effetto. Ma è andata dritta al sodo, sciorinando davanti ai giudici i «mattoni probatori» - così li ha definiti - che rendono giusta e doverosa la richiesta di condanna per il Cavaliere: sei anni di carcere, senza attenuanti generiche e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Siamo lontani dal massimo della pena, e le stesse difese si aspettavano uno o due anni in più. Ma poco cambia, perché comunque è una condanna che se venisse accolta chiuderebbe per via giudiziaria l'epopea politica di Silvio Berlusconi.

Sapeva di non avere davanti un compito facile, il procuratore aggiunto di Milano, cui della inchiesta sulle notti di Arcore sono ben presenti gli aspetti solidi e quelli dove le prove si fanno più evanescenti. La Boccassini è partita a testa bassa, come nel suo stile, e se i giudici non lo avessero interrotta due volte avrebbe forse fatto una unica tirata dall'inizio alla fine. Per demolire Berlusconi ha dovuto demolire, prima di lui, le sue vittime. Sono le presunte vittime del Cavaliere a uscire malconce dal processo. Ruby, prima di tutto, marchiata a più riprese come «puttana» e bugiarda, e cui addirittura - con un lapsus geografico oltre che politicamente scorretto - rimprovera una «furbizia orientale»; ma anche i tre funzionari della questura di Milano che da vittime si vedono cambiare bruscamente in complici: fin dalla notte della telefonata, sostiene la Boccassini, i poliziotti capiscono perfettamente che la posta in gioco è la tutela degli affari di letto del premier, «quelli che erano noti alla opinione pubblica italiana e purtroppo non solo italiana grazie ai casi della D'Addario e di Noemi Letizia», e di cui il caso Ruby costituisce l'apoteosi. «Della bufala», della «balla colossale» sulla nipote di Mubarak i funzionari di polizia erano pienamente consapevoli. «Un “capisciammè”, di questo si trattava»: così la Boccassini definisce la richiesta di intervento che dall'allora presidente del Consiglio piove nella notte di maggio sulla polizia milanese. Che scatta sull'attenti.

Certo, nelle quattro ore di requisitoria c'è spazio anche per giudizi sferzanti su Berlusconi, sulla sua «concupiscenza sessuale», sul «sistema prostitutivo» creato ad Arcore per soddisfarla; e il procuratore aggiunto ripete più volte «è dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che Ruby fece sesso a pagamento con Silvio Berlusconi quando era minorenne». Ma Ilda Boccassini sa che questo basta per una condanna etica: mentre per la condanna penale serve di più. Serve districarsi nelle maglie strette della nuova legge che ha creato il reato di induzione, quello per cui alla fine viene chiesta la condanna di Silvio. E serve dimostrare che, oltre a fare sesso con Ruby, Berlusconi era consapevole della sua minore età. Per raggiungere il primo obiettivo è necessario convincere il tribunale che i funzionari di polizia hanno mentito, durante le indagini e poi in aula, sotto giuramento: soprattutto il commissario Giorgia Iafrate, che ordinò alla fine il rilascio di Ruby. Il secondo obiettivo, dimostrare che il Cavaliere sapeva che quella stangona tirata a lustro aveva solo diciassette anni, è il passaggio su cui la procura sa di essere più debole. È vero che nelle intercettazioni Ruby dice che, dopo il secondo incontro, il suo pigmalione conosceva la verità, «perché glielo ha detto Lele Mora». Ma le intercettazioni e anche i verbali di Ruby sono un bailamme dove sta dentro di tutto e di più, e dove difficilmente si potrà convincere la corte a prendere per buono solo ciò che fa gioco all'accusa. Così Ilda punta soprattutto sulla prova logica: «Emilio Fede sapeva quanti anni aveva Ruby. E qualcuno può dubitare del rapporto di fedeltà assoluta di Emilio Fede nei confronti dell'allora presidente del Consiglio? Possiamo immaginare che una persona che ha la sua vita, il suo credo nel presidente del Consiglio, non lo abbia avvertito dall'inizio che stava introducendo nelle serate di Arcore anche una minorenne?».

Ruby mente perché le sono stati promessi quattro milioni e mezzo, forse cinque milioni. I poliziotti mentono per coprire se stessi.

Le ragazze che hanno sfilato in aula hanno mentito perché pagate da Berlusconi: «Dicono che le aiuta perché sono state danneggiate? Ma che danneggiamento hanno subito? Facevano esclusivamente le prostitute».
E poi c'è lui, Berlusconi. Che, ricorda la Boccassini, «nel processo Lodo Mondadori si salvò solo grazie alle attenuanti generiche». Stavolta, chiede Ilda ai giudici, facciamo che non finisca allo stesso modo.

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