I commercianti? Truffatori e maleducati. Il personale dei musei? Arrogante. Le file, poi, meglio non parlarne: spaventose.
Dan Brown trascina Firenze all'inferno. In un reportage sulla presentazione a Palazzo Vecchio, ai primi di giugno, del sesto e più recente romanzo dello scrittore americano, Le Figaro stronca la città di Dante. Un paio di giorni addietro, la sezione cultura del più noto (e diffuso) quotidiano di Francia ha ospitato il racconto del giornalista Eric Bietry Rivierre, inviato a scoprire gli itinerari fiorentini seguiti dal professor Robert Langdon, il protagonista dei thriller browniani del passato (da Angeli e Demoni al Codice da Vinci a Il simbolo perduto) e del quarto e ultimo libro della serie, Inferno. E tra interviste e storie, anche stroncature. Il tam tam promozionale per la presentazione di Inferno, è la premessa dalla quale il giornalista transalpino parte, «potrebbe essere strumento per movimentare un turismo in crisi, sperando che anche Firenze conosca quell'effetto traino che Il Codice da Vinci ha rappresentato per Roma e Parigi. Con 9 milioni di copie vendute, Inferno rappresenta una manna per il capoluogo toscano. Tanto peggio per le città rivali come Siena, Pisa, Arezzo e Prato, che vengono ignorate». Tuttavia, «a Firenze i commercianti sono truffatori e maleducati, il personale dei musei arrogante, le file d'attesa spaventose». Ed a riprova dell'assunto, qualche numero - come i «131 dollari a persona, 373 a gruppo massimo di otto» per la visita Vip al corridoio vasariano - o giudizi taglienti, quali quelli riservati agli «astuti» tour operator che venderebbero «poco accessibili percorsi browniani».
Sulle rive dell'Arno nessuno s'è stracciato le vesti. Ci si limita, al più, a far notare come la stampa estera, dal New York Times a Der Spiegel alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, parli bene, quando non benissimo, della Toscana intera.
Vero, ma non del tutto. Appena lo scorso gennaio, all'esplodere del caso Monte Paschi, un altro quotidiano francese, il progressista Le Monde, aveva titolato sulle ferite inferte dall'inchiesta giudiziaria «non solo a Siena, ma all'intera Toscana, di cui la banca è stata un polmone vitale». Nessuno, poi, ha dimenticato l'annus horribilis, il 2010, quando la Toscana era finita nel mirino dei giornali tedeschi Die Welt e Die Zeit, oltre che dell'inglese Times. Tutti critici, guarda caso, sui prezzi e sulla qualità dei servizi, come sull'inefficienza del trasporto pubblico. All'epoca, a difendere l'onore di Firenze capoluogo s'erano spesi in molti. L'allora presidente della Camera di Commercio, Vasco Galgani, per dire, aveva tuonato contro «attacchi che hanno il solo scopo di dissuadere i propri connazionali dal portare all'estero valuta pregiata in una fase di bassa congiuntura economica», comunque invitando gli imprenditori turistici «a garantire all'utenza straniera un trattamento professionale, qualitativamente elevato». Stavolta, invece, nessuna voce istituzionale si è levata a difesa dell'orgoglio patrio: l'argomento è rimasto confinato alla satira.
Sul quotidiano online Arezzonotizie, ad esempio, l'editorialista Gianni Brunacci la questione l'ha letta così: «I francesi, gente che il pane lo mette sotto le ascelle e tiene in vista trappole per topi nei ristoranti, non dovrebbero permettersi certi attacchi; neppure ai fiorentini, che i topi li eleggono a sindaco».E quando i campanili prendono a far sentire i loro rintocchi, non c'è dubbio: l'inferno è alle porte.
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