RomaHa perso la presidenza della Regione Lazio e il ministero della Salute per un'accusa che non c'è più. Lo chiamavano «Laziogate», Alessandra Mussolini lo aveva definito «uno scandalo a livello mondiale». Tutto cancellato.
Francesco Storace è stato assolto in appello «perché il fatto non sussiste» dalla sfilza di accuse che in primo grado gli erano costate una condanna a 18 mesi nel processo relativo all'incursione illecita nella banca dati dell'anagrafe del Campidoglio e all'attività di spionaggio che sarebbe stata compiuta ai danni di Alternativa Sociale, nel 2005 tra le liste candidate alle elezioni regionali. I giudici della prima Corte d'Appello di Roma hanno ribaltato il giudizio di primo grado con una raffica di assoluzioni. Il leader della Destra è visibilmente commosso, in aula, poco dopo la lettura del dispositivo: «Sette anni di calvario e oggi scopriamo che questa vicenda, per la quale mi sono dimesso da ministro della Sanità e costata la corsa per la Regione, non sussiste. Questa storia all'epoca venne definita uno scandalo. Alla luce di tutto ciò posso affermare che comunque non sono riusciti a togliermi la dignità». Più che soddisfatto anche il suo difensore, Giosuè Bruno Naso: «Non c'era bisogno di attendere 7 anni per certificare l'estraneità di Storace a qualsivoglia comportamento men che legittimo. Bastava leggere con obiettività e senza pregiudizi proprio il verbale del principale accusatore per comprendere che il mio assistito era estraneo a quell'operazione di acquisizione dei dati anagrafici, che peraltro la Corte d'Appello ha stabilito oggi essere consentita».
Era stato lo stesso procuratore generale a chiedere nel corso dell'udienza precedente, a giugno, l'assoluzione per Storace e altri cinque imputati. Escono di scena anche il suo ex portavoce Nicolò Accame, condannato a due anni in primo grado, l'ex direttore di Laziomatica Mirko Maceri, l'avvocato Romolo Reboa (che si è ritrovato sul banco degli imputati perché era stato incaricato di presentare l'esposto contro As), Nicola Santoro, figlio del magistrato della commissione elettorale presso la Corte d'Appello di Roma che escluse Alternativa Sociale dalle elezioni, l'allora vicepresidente del consiglio comunale Vincenzo Piso, di An, e l'investigatore privato Pier Paolo Pasqua. Rimane una sola condanna per favoreggiamento a 6 mesi per Tiziana Perreca, ex collaboratrice dello staff di Storace.
Nel 2005, prima che scoppiasse il «Laziogate», Storace sembrava destinato a prevalere sullo sfidante Piero Marrazzo.
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