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C'è il trucco pure sul taglio Irap: Regioni libere di alzare l'aliquota

Secondo il decreto la vera riduzione per chi aveva già l'imposta ai massimi, non per le altre. Dove potrà arrivare al 4,50%

C'è il trucco pure sul taglio Irap: Regioni libere di alzare l'aliquota

Il fatto che il capo dello Stato abbia convocato il ministro dell'Economia per spiegazioni sul decreto riguardante le misure finanziarie non mi sorprende. Si tratta di un testo sgangherato, per il quale si possono sollevare molte riserve sia sulle coperture, che a volte sono fittizie, sia sulla costituzionalità, con riguardo all'aumento da luglio per l'imposta sulle rendite finanziarie, che è un tributo di tipo annuale che non si può spezzare in due perché ciò viola il principio di capacità contributiva. Mentre non capisco come si possa definire conforme ai principi liberali un tale modo di procedere, che sconvolge ogni canone di finanza pubblica ortodossa, sottolineo altre due pecche ancora più gravi, se possibile, in questo decreto: l'aumento dell'imposta sulle presunte rendite finanziarie e la presunta diminuzione dell'Irap.

Non è vero che l'aumento al 26% della vigente aliquota del 20% riguardi solo rendite finanziarie e non è vero affatto che sia stata ridotta del 10 per cento la tassazione dell'Irap, dato che ci si è limitati a ridurre il tetto massimo di aumento dell'aliquota in questione. L'imposta sulle rendite finanziarie aumenta di 6 punti percentuali e ciò dovrebbe dare a regime 3 miliardi di maggior gettito, di cui 1 miliardo deriverebbe dai conti correnti bancari e postali e da conti di analoga natura. E per altro non sono affatto «rendite», cioè frutto di un risparmio, ma modesti guadagni tratti da una liquidità che si è costretti a tenere per necessità in gran parte derivanti dalla legge e spessissimo proprio dalla legge tributaria. Di recente, ad esempio, è stato stabilito il divieto di pagare in contanti gli affitti e le fatture sopra i mille euro, mentre per i professionisti e artigiani dovrebbe scattare l'obbligo di disporre di macchinetta per il pagamento delle prestazioni con carte di credito e bancomat allo scopo di assicurarne la tracciabilità ai fini fiscali. Da ciò si desume che un numero crescente di soggetti oramai sono obbligati a dotarsi di conto corrente bancario o postale per queste operazioni. Le pensioni e gli stipendi sono pagati su conti correnti, tanto è vero che la Posta esonera da spese i conti postali che i pensionati e i lavoratori dipendenti impiegano per ricevere le proprie pensioni e retribuzioni, comprese le più piccole. E un numero crescente di persone a basso reddito acquista in rete beni di consumo e viaggi per approfittare dei minori costi e degli sconti che ivi compaiono. Il conto corrente, ormai, è indispensabile per i meno abbienti.

Ecco dove va a pescare i soldi Renzi, dicendo che vuole tassare le «rendite». Ciò a parte, tassare maggiormente i risparmi rispetto agli altri redditi è del tutto contrario alla teoria liberale, ma farlo con il piccolo risparmio è assolutamente contrario pure alla teoria del socialismo umanitario e a quella cattolica sociale. Il peccato più grave però è quello commesso riguardo all'Irap che, secondo l'articolo 2 del decreto appena varato, viene ridotta, per quanto riguarda l'aliquota ordinaria del 3,90%, al 3,50%. Poiché la legge dell'Irap dal 2001 stabilisce che l'aliquota ordinaria del 3,90 può essere variata di un punto, in più o in meno, sino al nuovo decreto le Regioni potevano abbassare l'aliquota sino al 2,90% (quelle a statuto speciale anche di più) e potevano alzarla sino al 4,90%. Adesso il tetto dell'aliquota ordinaria passa al 3,50% e l'articolo 2 stabilisce nel suo ultimo comma che le variazioni in più e in meno di un punto dovranno diminuire della stessa percentuale di cui viene diminuita l'aliquota ordinaria. Ne viene che il tetto massimo si riduce di circa il 10%, pressapoco al 4,50. Poiché molte Regioni, fra cui Lombardia, Veneto, Piemonte, Toscana, Liguria, Emilia Romagna adottavano, per la normalità dei casi, l'aliquota ordinaria del 3,90, possono continuare a farlo, negli anni a venire, dato che l'aliquota può essere variata ogni anno, in più o in meno, entro il tetto della legge. In altre parole, la vera riduzione c'è solo per le Regioni che applicavano aliquote massime, non per le altre.

Questa è l'unica interpretazione possibile del testo sino ad ora. Non sono riuscito a trovarvi, infatti, nessuna norma che la vieti nel decreto su cui è stata posta la fiducia alla Camera.

Se per caso il governo ha una diversa interpretazione, o c'è una norma nascosta da qualche parte in questa legge lunga e complicata, è bene che lo dica.

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