Caro Barack, ferma le tue banche

Il presidente Usa difende l’euro ma poi non fa nulla contro la speculazione e i signori del rating

Caro Barack, ferma le tue banche

Al vertice del G8 di Camp David, il tema centrale è stato l’eurozona, su cui aleggia la crisi greca. Il «piano B» di Bruxelles circa la Grecia fuori dall’euro è stato smentito, ma nessuno può negare che le grandi banche americane e inglesi stiano trattando l’esodo di Atene come imminente e vendano debito pubblico spagnolo e italiano, puntando sull’ipotesi di crollo dell’euro. Obama difende la causa dell’euro. Ed è comprensibile. Infatti il governo americano per l’eurozona ha interessi politici ed economici che contrastano con quelli dei colossi finanziari dell’area del dollaro, per i quali l’euro e le sue banche sono rivali fastidiosi. Obama pensa all’economia reale, cioè l’export e l’investimento Usa in Europa e alla strategia politica e militare Usa ed ha bisogno che l’Italia rimanga nell’euro dato il ruolo dell’Italia nella questione di Israele e nel Medio Oriente e la missione in Afghanistan. La Grecia nell’area del dollaro può esser utile, ma l’area euro come tale e l’Italia nell’euro in particolare sono fondamentali per gli equilibri politici e per la crescita economica del mondo sviluppato.

Dunque qual è l’Obama pensiero? Lo si può racchiudere in due sue affermazioni circa l’eurozona e circa le banche americane. Per l’eurozona dice che occorre mettere assieme la politica di «lotta al deficit», cioè il «rigore» teutonico con politiche di stabilità e di crescita. Dunque dà una tirata di orecchie ad Angela Merkel, alla Commissione di Bruxelles, ai rappresentanti tedeschi nella Bce e a quant’altri che in Europa ne seguono le linee, per le lacune che hanno caratterizzato sin qui la condotta europea circa la crescita economica e la stabilizzazione del mercato del debito pubblico. Circa le banche e il mercato finanziario, poco prima di intervenire al G8, Obama aveva affermato che «una parte degli operatori di Wall Street ha trattato il mercato finanziario come un casinò» ed ha sostenuto che occorre applicare le riforme stabilite per il sistema bancario e attuarne di nuove. Ha aggiunto che mentre JpMorgan potrà far fronte alla perdita di 2 miliardi dovute a speculazioni finanziarie azzardate, altre banche più piccole non sono nelle stesse condizioni, sicché i contribuenti Usa, senza una riforma del sistema finanziario, potrebbero esser chiamati ancora a coprire gli sbagli delle banche.

Dunque possiamo togliere l’accento al termine casinò, che allude alle sale da gioco e diciamo che data la mancanza di regole serie, questa anarchia del sistema finanziario, che fa gravare i suoi errori sulle spalle del contribuente, crea il caos nell’economia. Obama lo riconosce. Per altro si potrebbe osservare che mentre le critiche circa la mancanza di politiche pro crescita dell’eurozona riguardano l’Unione europea e i singoli stati che ne fanno parte (l’Italia del governo Monti ha anche essa le sue colpe, non piccole), invece le doglianze circa la stabilità finanziaria di tale area non riguardano soltanto le carenze delle istituzioni dell’euro zona, ma anche quelle degli Stati Uniti (e del Regno Unito). Come Obama stesso ammette, gli Usa hanno fatto ben poco per «regolamentare il casinò» sicché le nostre Borse sono soggette a un’altalena caotica mentre lo spread dei titoli pubblici sale irrealmente, con un gravame sulle nostre finanze pubbliche, che non dipende dallo squilibrio fra domanda e offerta effettiva di risparmio e da una speculazione basata sul principio chi sbaglia paga, ma da scommesse irresponsabili. In particolare tace sulle agenzie di rating che aggiungono confusione alla confusione e che sono collegate strettamente alle banche.

Obama è stato presidente per tre anni, depreca la destabilizzazione

dell’euro, critica Wall Street, usa aggettivi pesanti per le banche che si comportano come bische, ma non ha fatto nulla di sostanziale per ovviare a ciò. È bene che chi difende l’euro, lo faccia anche con atti concreti.

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