Il Carroccio non morirà finché ci sarà il Nord

Il partito di Bossi è la risposta alla secolare frattura dell’Italia, oggi accentuata dalla crisi economica e dall’inasprimento fiscale

Il Carroccio non morirà finché ci sarà il Nord

Caro Feltri,

non sono un esponente della Lega. Non mi spetta quindi una risposta politica. Sono - più semplicemente ­uno studioso del fenomeno Lega e di federali­smo. In questa veste mi permetto di replicare al tuo intervento dell'altroieri su queste stesse colon­ne: Bossi suicida la Lega.

I partiti nascono dalle fratture. La frattura Stato-Chiesa generò la De­mocrazia cristiana, quella capitale­lavoro generò il Partito comunista. La frattura della fine della Prima re­pubblica generò Forza Italia. La Le­ga è nata dalla frattura Nord- Sud, la più profonda e più duratura della storia del Paese, sin dalla nascita dello Stato. E quale occasione per­duta il 150˚ per riflettere sulle apo­rie dello Stato unitario. Al contra­rio, tutto è stato coperto dal candi­do mantello del politicamente cor­retto perché si temeva di mettere in discussione l'unità nazionale. Ma solo una democrazia matura ha il coraggio di guardare con spirito cri­tico dentr­o se stessa e le proprie con­traddizioni di fondo.

Finché durerà la frattura Nord-Sud, la Lega sarà una realtà politica viva e pulsante. La storia certifica che nessuno è mai riuscito a ridur­la, perché è endemica e strutturale, determinata dalla differenza di tra­dizioni civiche - come ci ha spiega­to il politologo di Harvard Robert Putnam vent’anni fa - ereditate dal­l’età comunale e dall’età feudale. Le virtù repubblicane delle comuni­tà territoriali della v­alle del Po risal­gonoall'esperienzastoricamunici­pale del XII secolo, caratterizzata da un sistema di governo autono­mo, che rappresentò la «maggiore alternativa» al feudalesimo allora dominante nel resto dell'Europa, compreso il Sud Italia normanno.

Questa esperienza storica- politi­ca, istituzionale, economica, sociale e culturale - ha inciso nella menta­lit­à collettiva sino a segnarla in pro­fondità e a caratterizzarla in modo specifico in tutta la valle del Po. E la Penisola è spaccata in due proprio dalla frattura delle tradizioni civi­che: fra chi ha vissuto l’età delle li­bertà comunali, dell’autonomia e dell’autogoverno, e chi non l’ha vis­suta.

Fra chi ha spirito d’iniziativa, senso dell’impresa, volontà di ri­schiare e mettersi in gioco; e chi - al contrario- vuole solo farsi assistere dallo Stato. Prova ne sia la mole di in­vestimenti - che non hanno mai pro­dotto sviluppo - destinati al Mezzo­giorno nel corso degli anni.

La frattura è dunque incolmabi­le. Ecco perché la Lega è immortale. A questo bisogna aggiungere che, ogni anno, quasi il settanta per cen­to del fatturato del Paese (Pil), pro­viene da Piemonte, Lombardia, Ve­neto ed Emilia. Quelle stesse regio­ni che, sempre ogni anno, staccano un assegno di circa 140 miliardi di euro a beneficio del resto del Paese. Questo significa anzitutto che chi vuole governare deve fare i conti con il Grande Nord. E che lo spazio politico della Lega c’è e deve essere presidiato. Per effetto della crisi e dell’inasprimento della fiscalità ­che produce malessere, risenti­mento, rancore (là dove si pagano le tasse, al Nord) - ma anche dei ri­gurgiti di centralismo del governo Monti va allargandosi ogni giorno di più.

Bossi s'è smarcato per andare a occupare questo spazio politico: ec­co il disegno. Dopo aver provato a promuovere la riforma federale dal­l­’interno delle istituzioni, occupan­do po­sti di potere grazie alla decen­nale alleanza con il Pdl, ha ripiegato su un coerente inasprimento delle posizioni. La rigenerazione dello Stato è impossibile. Ce lo ha dimo­strato Luigi XVI che, nel 1789, convocò gli Stati generali - l'assemblea della riconciliazione nazionale tra nobiltà, clero e terzo stato - nell'inti­mo convincimento che lo Stato po­tesse promuovere la sua stessa rige­nerazione.

Ma scoppiò la rivoluzio­ne. Una rivoluzione che, oggi, al Nord si chiama lotta per l'indipen­denza della Padania. Che è solitaria e non ammette alleanze, compresa quella con il Pdl.

La radicalizzazio­ne del confro­nto politico è un ritor­no alle origini ideologiche del movimento e consente di rinserrare il dialogo con la base e con gli interes­si organizzati dei ceti produttivi del Nord. Interessi da rappresentare e tutelare in sede politica per occupa­re lo spazio che s’è ampliato a causa della crisi economica.

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