Il Cav tradito dalla parodia Dc Ma l'urna avrà l'ultima parola
6 Ottobre 2013 - 15:54Il grande inganno della stabilità èservito solo per ottenere la fiducia Il partito ministeriale con la sua scelta ha ratificato l’ingiustizia
Non c’è bisogno di essere satiri per patire la solitudine. Basta avere intorno a sé i ruderi di un partito che è stato importante; basta una condanna da scontare e temere di riceverne altre. Non frequento le dimore di Silvio Berlusconi e ignoro ciò che vi accade in questi giorni funesti. Posso solo immaginarlo e rabbrividire. Quando un uomo cade in disgrazia per vari motivi, i suoi amici sono meno amici, cambiano espressione, qualcuno diventa antipatico, altri fastidiosi. Quelli poi che si offrono volontari per dargli una mano senza sapere come, sarebbero da prendere a pedate. Suppongo che il Cavaliere abbia una gran voglia un senso al lavoro, alla creazione di ricchezza, alla generazione di lavoro e di impresa, tutte cose sepolte sotto la coltre dell’ideologia solidarista in grande spolvero. Altro che il governo, i ministri, la pubblica amministrazione. Viaggiamo verso il 140 per cento del debito pubblico calcolato sul Pil, i governi sono curatori fallimentari. La politica economica e finanziaria è eterodiretta, il suo centro sta sull’asse tra Francoforte e Berlino, e la politica fiscale è in larga misura obbligata: i governi italiani ormai servono araccontarcela sul cuneo fiscale, sulla necessità di sollevare dall’oppressione fiscale chi lavora e produce, imprenditori e lavoratori, ma è chiacchiera. La liberazione fiscale è fattibile solo se accompagnata da grandi riforme, radicali, capaci di restituire produttività e competitività al sistema, e di introdurre un regime di concorrenza che avrà le sue esclusioni e i suoi punti anche umanamente critici al fine di generare la grande inclusione della crescita economica, dello sviluppo. Se è per adorare Madonna povertà, preferisco il Papa, lo Stato pontificio. Per risolvere i problemi ci vorrebbero borghesi non confindustriali, leadership toste, non quarantenni democristiani. Comunque, staremo a vedere.
Con la ricomposizione del partito ministeriale, che si è mostrato più forte sia della progettazione di leadership di un Renzi, con tutti i suoi difetti l’unico che prometta qualcosa di serio, sia del carisma di Berlusconi, offuscato e umiliato, quali che siano stati i suoi errori tattici, dal brivido di un piccolo potere da conquistare e da tenersi stretto per farne non si sa che cosa, si è consumato un delitto contro la giustizia. La conseguenza della fiducia a Letta è stata la sanzione che gli affari di Berlusconi sono cosa privata, che tra giustizia e politica non c’è problema, che la politica e le istituzioni non devono ribellarsi al prepotere ventennale dei giudici e del loro partito, un’idea chiara che ormai hanno abbracciato sia un postcomunista ed ex magistrato come Violante sia il liberale Panebianco: basta abbandonare Berlusconi al suo destino, e il gioco è fatto in nome di una nozione molto cinica di stabilità e di governabilità. Va bene, siamo realisti. Berlusconi ha portato il realismo a vette da commedia, ha fatto l’uomo di spettacolo, e si è rotto la testa. Quando e come la ferita si rimarginerà è questione aperta. Per adesso sanguina. Un Paese in cui passa l’idea grottesca che non c’è accanimento giudiziario politicizzato, con la sua saturazione mediatica da regime politico totalitario, e prepotere dei pm contro la divisione dei poteri, è un Paese che ha deciso di credere a una grande menzogna. All’avanguardia della credulità, per gola, stanno gli arcinemici del berlusconismo, i giornali editi da un publisher di cittadinanza svizzera che si agitano contro la frode fiscale, i poteri forti delle procure, e il grande esercito dell’opportunismo di sempre. Manca all’appuntamento il popolo elettore, di cui si ha tuttora una grande paura. La bastonatura di Berlusconi ha senso solo in riferimento a questa grande paura. Ora Letta e Alfano, i protagonisti di questa svolta fondata sulla ratifica dell’ingiustizia,dovranno dimostrare di saper fare qualcosa. Ma lo spettro di Berlusconi non scomparirà tanto facilmente dai loro banchetti di stabilità e governabilità. Berlusconi aveva tenuta aperta nonostante tutto, nonostante le sue follie, una contraddizione felice, quella tra il conformismo rinunciatario e la pretesa di una rivoluzione di libertà e di spontaneità. La classe dirigente cosiddetta si rimette in ghingheri e grisaglia, sa di parodia della Democrazia cristiana di un tempo, e sarà giudicata alla prova di riforme, a partire dalla giustizia, che rimettano a posto le cose devastate della lunga stagione del giustizialismo. Il posto nella storia ce lo si conquista non già mettendo insieme alla rinfusa i governativi sulla pelle di un «condannato definitivo », ma risolvendo le grandi questioni nazionali, prima tra tutte quella di un sistema penale piegato all’interesse e alla faziosità politica. Staremo a vedere.
Nutriamo sfiducia.