La Cgil alza la posta per andare allo sciopero

La Camusso sa già che il governo non potrà accettare le sue richieste

Roma - Pochissime risorse a disposizione, se non quello che si riuscirà a racimolare tra fondi europei e tagli a vecchie agevolazioni. Forse nulla, soprattutto ora che il Pil, come ha certificato l'Istat, è calato e centrare l'obiettivo del pareggio strutturale del deficit diventa sempre più difficile. I sindacati (e anche Confindustria) ne sono consapevoli a tal punto che, in vista del tavolo di oggi con il premier Mario Monti, hanno ripiegato sulle posizioni tradizionali. La Cgil sulle barricate, pronta a fare lo sciopero generale, la Cisl disposta al dialogo, decisa comunque a sostenere il governo, e la Uil alla finestra, ma decisamente pessimista sui prossimi mesi (il segretario Luigi Angeletti prevede mille licenziamenti al giorno).
Ieri la leader del primo sindacato, Susanna Camusso, ha chiesto che all'incontro di oggi arrivino le «prime risposte» nella direzione dell'equità e della crescita, «visto che finora ci sono state solo scelte di rigore». Altrimenti ci sarà una «grande iniziativa di mobilitazione» che culminerà, in ottobre, con lo sciopero generale. Le richieste della Cgil vanno molto oltre quello che il governo potrebbe accettare, anche in una situazione dei conti più tranquilla, ad esempio la detassazione delle tredicesime, soldi pubblici per salvare le aziende, cambiamenti della riforma del lavoro, rendendola ancora più rigida. Poi la patrimoniale.
Un programma da spread a quota mille, che sembra più un modo per smarcarsi definitivamente dal governo Monti, arrivato a fine corsa, che una vera piattaforma. Posizione rigida che il Partito democratico non potrà ignorare e che, suggerivano ieri esponenti Pd, non è estranea al no di Bersani a un nuovo governo tecnico.
La Cisl, sindacato che ha voluto più di tutti il tavolo sulla crescita e la produttività, è invece intenzionata a dare credito al premier. «Chiediamo che vengano detassati i salari, le forme poi verranno discusse. Chiediamo anche che vengano sbloccati gli investimenti perché noi abbiamo una situazione in Italia paradossale con decine di miliardi di risorse stanziate», spiega Giorgio Santini, segretario generale aggiunto del sindacato cattolico.
Il governo sta lavorando su un sentiero strettissimo. Palazzo Chigi teme tensioni sociali come quelle di ieri per l'Alcoa. Sa che esploderanno altri conflitti. E sa anche che - nonostante le rassicurazioni del premier - quelli diffusi ieri dall'Istat, non saranno gli ultimi dati negativi. Sa che nonostante il Pil in calo non si può concedere nulla sul fronte della spesa, ma sa anche che se non riprende quota l'economia, verranno vanificati anche gli sforzi per tenere sotto controllo i conti pubblici.
Da archiviare veri tagli al cuneo fiscale (la parte del costo del lavoro che non finisce nelle tasche dei lavoratori, particolarmente alta in Italia) auspicati dal ministro Fornero. Difficile un rifinanziamento dei premi di risultato e degli straordinari. Dal tavolo di oggi, l'unica possibile concessione che potrebbe arrivare a Cgil, Cisl e Uil è in realtà una misura pro imprese, cioè incentivi per gli investimenti, utilizzando soprattutto fondi europei. Quasi sicura una nuova riprogrammazione dei soldi di Bruxelles che le Regioni non hanno speso.
All'incontro della settimana scorsa con Confindustria e le altre associazioni datoriali, Monti aveva promesso lo sblocco dei pagamenti dello Stato alle aziende (che nonostante gli annunci sono ancora in larga parte fermi) e l'attuazione della delega fiscale di aprile.

Quella che prevede, tra le altre cose, la nuova imposta sul reddito delle imprese. Ma delle delega fa anche parte la razionalizzazione delle agevolazioni fiscali-assistenziali, che già Tremonti voleva sfrondare. Se ci saranno incentivi per la produttività, non potranno che venire da qui.

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