La Cgil detta l'agenda al Pd E Bersani obbedisce su tutto

La segretaria Camusso ha presentato il "Piano lavoro" con l'intento di imporre la controriforma sul Welfare. Con ricette anni Trenta su occupazione, fisco e redditi

La Cgil detta l'agenda al Pd E Bersani obbedisce su tutto

Non hanno fatto finta di essere distinti e autonomi l'uno dall'altra. Nemmeno uno screzio per simulare una diversità su un qualche tema marginale. Susanna Camusso (il segretario generale della Cgil che in tv se la prende con chi la definisce azionista di maggioranza del centrosinistra) alla conferenza programmatica ha invitato esclusivamente i partiti che sostengono Bersani premier, ai quali ha sottoposto la sua «agenda».

C'erano lo stesso segretario Pd, Nichi Vendola di Sel e Bruno Tabacci, del Centro democratico. Fuori il centro montiano, il centrodestra. E questo era prevedibile. Esclusa, però, anche la sinistra di Antonio Ingroia, tanto che il Pm candidato di Rivoluzione Civile, per essere in qualche modo presente, è stato costretto a scrivere una lettera aperta ai militanti del primo sindacato. Un inedito per la Cgil, che nella sua storia non ha mai negato una sedia nemmeno a Democrazia proletaria. Assenti giustificati i leader di Cisl e Uil Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Ma anche loro erano stati invitati, ma solo per ascoltare, non per parlare come prassi delle conferenze programmatiche.
Tutto in famiglia, quindi. E Bersani ha ricambiato con un discorso - iniziato con un «Care compagne, cari compagni» - di sostanziale adesione alla piattaforma politica presentata dalla Cgil.

D'altro canto l'andazzo della assise della Cgil si era capito da tempo. A svelare i piani del sindacato è stato ancora una volta Giorgio Cremaschi, esponente della sinistra interna, ma anche fautore di una completa autonomia della Cgil dalla politica. «La segreteria Cgil - ha spiegato il sindacalista - ha convocato la conferenza, anticipandone la data rispetto a quella prevista, proprio per avere la presenza esclusiva dei leader del centrosinistra». Tempi anticipati, quindi, per fare cadere la kermesse nel vivo della campagna elettorale.
Il fatto è che l'intenzione di Camusso era proprio quella di dettare platealmente al Pd i confini per le alleanze politiche e il programma di governo.

Si chiama Piano lavoro, un richiamo a quello di 64 anni fa firmato dal leader Cgil Giuseppe Di Vittorio. Ed effettivamente quella della Cgil è una lista di politiche turbo keynesiane, che ricordano le ricette degli anni Trenta.

La sostanza è stanziare 50-60 miliardi per creare posti di lavoro, fare aumentare l'occupazione del 2,9% e il Pil del 3,1%, non attraverso incentivi, semplificazioni e detassazioni, ma con la creazione «diretta» di posti di lavoro, stanziamenti per il welfare. Il tutto condito da un «ritrovato protagonismo dell'intervento pubblico» come «motore» dell'economia.
Per trovare le risorse, una «riforma organica» del sistema fiscale, con un «allargamento» delle basi imponibili, una «maggiore progressività». Quindi tasse più alte sui redditi (dichiarati) più alti e poi, la solita patrimoniale. Pier Luigi Bersani ha risposto cercando di evitare i temi più ostici. Ma ha teso la mano bacchettando a più riprese il governo uscente, assicurando che per lui «l'austerità e il rigore sono la condizione delle politiche economiche non possono esserne l'obiettivo». Adesione piena all'agenda Camusso di Nichi Vendola. E strizzate d'occhio persino da Bruno Tabacci, centrista prestato alla sinistra, un tempo molto critico con la Cgil.

Comunque vada, il centrosinistra dovrà fare i conti con l'ultra interventismo Cgil.

E cosi, prevede Maurizio Sacconi, esponente Pdl ed ex ministro del Lavoro, la sua credibilità risulterà minata. «Nulla potrebbe essere realizzato dal governo della sinistra senza il consenso preventivo della Cgil». Camusso ha centrato l'obiettivo. Bersani ha un guaio in più.

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