Che pasticcio in casa Rai: in onda lo sciopero a metà

Strappo dei giornalisti di viale Mazzini che si schierano contro l'agitazione. A opporsi al taglio di 150 milioni voluto dal governo restano solo i sindacati

Che pasticcio in casa Rai: in onda lo sciopero a metà

L'11 giugno andrà in onda lo sciopero dimezzato. Uno sciopero a metà. Senza l'adesione dell'Usigrai, storico sindacato dei giornalisti del servizio pubblico, l'agitazione contro il prelievo di 150 milioni del governo Renzi dalle casse della Rai contenuto nel decreto Irpef si conferma una protesta velleitaria e anacronistica. La Tv pubblica è da sempre il microcosmo in cui si affermano tendenze e schieramenti che agiscono nel Paese. Ma mentre un tempo li anticipavano, stavolta li riproducono. Anche in Rai si ripete la divisione tra coloro che propendono per la volontà di riforma e i conservatori che, in forza di posizioni vetero-ideologiche, vogliono tutelare vecchi schemi e vecchie formule. Se, capeggiata da qualche conduttore come Giovanni Floris, la Rai doveva essere l'ultima trincea anti-renziana, ora appare chiaro che la battaglia contro il premier e la necessità della spending review è persa.

La decisione dell'Usigrai, arrivata già nella sera di giovedì, e ribadita dal comunicato di ieri, è giunta «dopo il voto a larghissima maggioranza delle assemblee tenute nelle ultime 48 ore in tutte le redazioni d'Italia». In particolare, pur esprimendo contrarietà alla vendita delle quote di RaiWay (l'azienda dei ripetitori del segnale) per compensare i tagli imposti dal decreto, il sindacato dei giornalisti mostra soddisfazione perché finalmente sono stati messi a tema questioni sollevate dall'Usigrai come l'anticipo della concessione di servizio pubblico di due anni, la lotta all'evasione del canone e la riduzione del controllo di partiti e governi sulla Rai. Una presa di posizione che ha influenzato le scelte degli aderenti all'Usigrai è stata quella di Giuseppe Giulietti, storico leader del sindacato e fondatore di Articolo 21, che nei giorni scorsi aveva sostenuto che soffermarsi sullo sciopero significava «affrontare i problemi della Rai partendo dalla coda». «Ora vediamo», si legge nella nota diffusa ieri, «se il governo è in grado di tenere il passo della sfida riformatrice o sono solo annunci».

Nell'attesa di saperlo, numerosi apprezzamenti per la decisione dell'Usigrai giungono da esponenti del Pd (Vinicio Peluffo, capogruppo in Vigilanza, Marina Sereni, vicepresidente della Camera, Paola De Micheli e Camilla Fabbri, senatrice e membro della Vigilanza). Molto meno fiduciose sull'esito del dibattito restano le altre sigle sindacali (Slc-Cgil, Uilcom-Uil, Ugl Telecomunicazioni, Snater e Libersind-ConfSal) che ribadiscono l'adesione alla protesta di mercoledì. «Lo sciopero dei giornalisti è scongiurato, non il nostro. Non sono la stessa cosa», ha affermato a margine di un convegno Luigi Angeletti della Uil. «Vogliamo che il governo costringa la Rai a tagliare gli sprechi. Ma non siamo d'accordo che riduca le potenzialità dell'impresa. Renzi è bravo a spiegare che togliere 150 milioni significa ridurre i privilegi, ma non è così. Perché si potrebbe indebolire la Rai e lasciare inalterati i privilegi», ha concluso Angeletti. Ma questo, com'è noto, non è compito del governo quanto degli amministratori che gestiscono le risorse aziendali.

Il taglio di 150 milioni su 1700 di entrate dal canone può essere uno stimolo a ridurre gli sprechi nelle 22 sedi regionali, a cominciare dalla logistica esorbitante per proseguire con la razionalizzazione delle edizioni dei tg. Infine, pur in presenza dei 700 prepensionamenti disposti nel 2013, un discorso a parte meriterebbero assunzioni e promozioni di dirigenti e manager apicali. Sarà la (s)volta buona? MC

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