Oltre l'Olimpiade c'è solo l'Olimpiade. Bye bye Londra: Rio ha già preso la bandiera: ci vediamo tra quattro anni in un altro continente, in un'altra città, in un'altra vita. Fine dei Giochi, in senso stretto. Il contrario dell'ultimo giorno di scuola, perché qui non si dimentica, ma si rielabora: l'Italia chiude con 28 medaglie, cinque solo l'ultimo giorno, eguaglia il record fatto il primo giorno, supera nel complesso il risultato di Pechino. Cambiano le facce: ciao Pellegrini, abbiamo scoperto Jessica Rossi. È la staffetta dello sport: uno esce, l'altro entra. Un paese e poi tutti gli altri a turno che scoprono nuovi figli che li rappresentano. Dici: sono state ancora le Olimpiadi di Bolt. Sì: lo sport non ha cambiato padroni. Due facce per tutti: Usain che si prende tre ori e Michael Phelps che si prende sei medaglie, le aggiunge alle altre e fa 22 in tutto, il record dei record della storia olimpica. Sono loro, l'eredità di Londra. La stessa di Pechino con l'aggiunta della consapevolezza che quattro anni fa non parlavamo di meteore, ma di talenti unici. Ce li siamo goduti, ce li godremo.
Ciao Londra, una città che non aveva bisogno dei Giochi per essere il centro del mondo: dicevano che avrebbe gestito male quest'evento, perché non si organizza una manifestazione così in una megalopoli difficile e piena di cose come questa. Ecco, i perdenti certi di questi Giochi sono stati i detrattori a prescindere. Quelli che avevano pronosticato la «London Falling»: cadente e caduta. Londra ha faticato, ha cercato una strada sua, che non imitasse le altre, che non inseguisse la perfezione forzata di Pechino. Londra ha retto. Bella, brutta, complicata, semplice. Una città piena che s'è regalata. Ha ricordato al pianeta la frase di Samuel Johnson: «Quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita». Sono state due settimane oltre il limite. L'Olimpiade è così: non accetta confini e poi li supera. Si spinge oltre. Mescola tutto: politica, costume, società, economia, sport. Si autocelebra con una capacità incredibile, che le permette di arrivare dopo 15 giorni a smentire tutti i pregiudizi che uno si poteva essere fatto nelle prime ore. È la potenza dello sport che cancella le perplessità: guardi Bolt frantumare i limiti e cancelli il resto. Vedi la gente felice di sentirsi parte di un evento planetario. È il luogo comune dello spirito olimpico che non c'entra con «l'importante è partecipare», ma è qualcosa che appartiene alla gente che guarda questo spettacolo, più che agli atleti che lo vivono. Loro giocano, loro perdono, loro vincono.
Sono state le Olimpiadi delle donne, solo che i risultati più incredibili li hanno fatti gli uomini: di nuovo Bolt, di nuovo Phelps, poi il mezzofondista kenyota Rudisha, il fondista britannico Mo Farah. Lo sport non ha genere. Lo sport, invece, ha geografie: è ancora in mano all'Occidente. Aspetta caro Oriente, non è ancora il tuo turno: la Cina vinse il medagliere in casa, quattro anni fa. Stavolta sta dietro l'America. È il vecchio mondo che resiste al nuovo, almeno nello sport. Attraverso le facce e le braccia dei fenomeni del Dream Team, dei velocisti, dei nuotatori, dei giocatori degli sport di squadra. Ci siamo, ancora. È una sfida che continua: culture, preparazioni, soldi.
Se c'è uno scontro di civiltà è questo. Si gioca sulla forza, sull'astuzia, sull'allenamento. Ci sarà ancora da divertirsi. Tocca a Rio, adesso. Quattro anni sembrano tanti, sono pochi. Le Olimpiadi mangiano i tempi. È il loro record.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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