C'era mezzo mondo, forse di più, che non aspettava altro che arrivasse il giorno in cui qualcuno scrivesse: «La Cina ha superato gli Stati Uniti». Quel giorno è arrivato ieri, quando il Financial Times in prima pagina ha pubblicato i risultati dello studio dell'International Comparison Program della Banca Mondiale. Quei dati dicono questo: l'economia cinese è cresciuta del 24% tra il 2011 e il 2014, contro il 7,6% di quella americana e «la Cina probabilmente supererà gli Stati Uniti quest'anno» e non nel 2019, come previsto finora dalla maggior parte degli economisti.
Ma di che numeri parla la Banca mondiale? Parla del Pil, quindi della ricchezza prodotta in un Paese, generato in relazione al costo della vita reale, noto come parità dei poteri d'acquisto (la sigla utilizzata nelle statistiche è Ppp). E qui c'è un grosso problema. Perché i numeri raccontano sempre verità parziali e questo caso ne è la prova certa. Immaginatelo su una scala più vicina a noi: una piccola cittadina del Sud confrontata con Milano (dove la vita costa di più) ha un potere d'acquisto diverso, pertanto, se usi questo criterio, la cittadina del Sud sarebbe più ricca di una metropoli come Milano. Ma la realtà è ben diversa, perché la ricchezza complessiva prodotta nelle metropoli è infinitamente maggiore. E allora, come si fa a dire che quella piccola cittadina sorpassa la metropoli? In scala planetaria vale lo stesso: il Pil nominale degli Stati Uniti è ancora più alto di quello cinese. Decisamente più alto. L'ultimo dato disponibile dice che l'America produce ricchezza complessiva per 15mila miliardi di dollari contro gli 8mila della Cina. Se calcoliamo, poi, il Pil pro capite, allora il divario è ancor più grande, perché l'America resta nel «primo mondo» con quasi 50mila dollari a testa, mentre la Cina sprofonda nel «terzo mondo» con poco più di 6mila dollari a persona. Allora qual è la prima potenza mondiale? Ieri molti economisti, analisti e giornali economico finanziari di tutto il mondo hanno messo in discussione i numeri presentati dal Financial Times, perché fuorvianti. Nessuno può negare che le performance della Cina siano incredibili e che la sua ascesa sia quasi inarrestabile. Ma aspettiamo a dire che sia definitivamente cominciata l'era cinese e sia definitivamente finita quella americana, perché non è così. La verità è che quella del sorpasso di Pechino su Washington è una di quelle profezie che molti sperano si avverino. C'è una scuola di pensiero, prevalentemente occidentale e prevalentemente critica nei confronti degli Stati Uniti, che non vede l'ora di poter raccontare la caduta dell'impero a stelle e strisce. Ma, indipendentemente dai pochi alti e dai molti bassi che l'economia (e anche la politica) americana ha fatto registrare negli ultimi anni, il vero sorpasso non è avvenuto. Volete di più? Sono gli stessi cinesi che lo pensano: continuano ad acquistare debito pubblico americano perché credono nella forza e nella capacità di generare ricchezza da parte del sistema Usa. Di più: l'immenso comparto tessile del Dragone, quello che pareva senza concorrenza, che era diventato il punto di arrivo e produzione per tutto il mondo, ha cominciato a delocalizzare. E dove va? In America. Anche sulla tecnologia, il mondo prevedeva l'invasione asiatica in America, mentre sta avvenendo di fatto il contrario. Allora la Cina ha messo la freccia, pronta a superare, ma resta ancora in scia.
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