Citofonare Salvini

Vi ricordate quando, durante la campagna elettorale per le Regionali del 2020, l'allora ministro dell'Interno, al massimo nei sondaggi, citofonò a una famiglia e chiese "Scusi, qui qualcuno spaccia?"

Citofonare Salvini
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In effetti, spacciare non è mica come suonare «inopportunamente» al citofono. Però, se c'è di mezzo Matteo Salvini, le due cose possono equivalersi.

Vi ricordate quando, durante la campagna elettorale per le Regionali del 2020, l'allora ministro dell'Interno, al massimo nei sondaggi, citofonò a una famiglia e chiese «Scusi, qui qualcuno spaccia?», scatenando polemiche e indignazione?

Bene. Anzi, male. Ieri la Corte di Cassazione ha confermato le sentenze di condanna per i componenti di un'organizzazione accusata di gestire il narcotraffico in zona Pilastro a Bologna.

Tra i quali diversi componenti di quella famiglia. Di tunisini.

Per carità. Non è il caso che ci facciate notare che il gesto di Salvini è stato discutibile. Nel momento in cui era in possesso di informazioni su un reato doveva comunicarle alle autorità competenti e non usare il proprio potere per alimentare una rissosa propaganda politica. Lo sappiamo.

Come sappiamo un'altra cosa. Il leader leghista è stato bollato come un «Delatore!», uno «Sciacallo!», un «Buffone!»; però, a onor del vero, anche uno che ci ha visto lungo.

E non spacciava uno soltanto della famiglia; spacciavano tutti.

E per il resto, resta una domanda,

cui non sappiamo rispondere. Meglio un politico che suona a casa di un tunisino chiedendo «Lei spaccia?» o un giornalista che citofona al padre di un assassino chiedendo «Avete chiesto perdono ai genitori della vittima?».

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