Politica

Dal Colle ai ministeri: nel Pd è partito il risiko delle poltrone

Gli scenari dopo la vittoria di Bersani: Prodi verso il Quirinale, Casini e Puppato a capo delle Camere. L'altolà ai renziani: "Si scordino il 40%"

L'ex premier Romano Prodi
L'ex premier Romano Prodi

Roma - Nell'adrenalico day after della vittoria della «Ditta», l'unico che conferma agli amici di non aver cambiato idea e di aver detto la verità è Walter Veltroni: non chiederà deroghe, né incarichi di governo o partito. Non si candiderà neppure Massimo D'Alema, ma per lui - assicurano i ben informati - è assai probabile che si aprano le porte del governo (se, naturalmente, il Pd vincerà e il governo Bersani nascerà). Quell'imprimatur di Nichi Vendola, che è andato in tv a dire che D'Alema è stato «straordinario come ministro degli Esteri», era più un auspicio che un giudizio; e l'ex premier non avrebbe nulla in contrario a ricoprire di nuovo un incarico che lo proietti oltre quel cortiletto italiano verso il quale da tempo mostra grande distacco (ad esempio, sotto il braccio non tiene mai Repubblica o Corriere ma solo Le Monde e Herald Tribune).
D'altronde anche Vendola è in pole position ministeriale (i suoi sussurrano che gli piacerebbe quello del Lavoro, o meglio ancora una riedizione del Welfare), e in quota Sel si scalda i muscoli anche il giovane e telegenico Nicola Fratoianni, assessore alle Politiche giovanili in Puglia, che potrebbe trasferire la sua esperienza nell'analogo dicastero.
Per le cariche istituzionali, nel borsino del Transatlantico, ieri era data in salita l'ipotesi Romano Prodi. A dare il la è stato ieri il dalemiano Claudio Burlando, governatore della Liguria e Grande Elettore di Bersani: «Bersani a palazzo Chigi e Prodi al Quirinale. Da domani questo diventa l'obiettivo», ha twittato. Non si sa se Prodi, scaramantico com'è, abbia apprezzato. Resta solida però l'ipotesi Mario Monti per il Colle (Bersani lo preferirebbe lassù), mentre scendono le quotazioni di Giuliano Amato. Al Senato risale l'ipotesi Pier Ferdinando Casini, che garantirebbe la sponda centrista al governo. Mentre alla Camera andrebbe un esponente Pd, e possibilmente donna: Rosy Bindi però, che pure aveva accarezzato il sogno (in mancanza di meglio, ovviamente), è out, e qualcuno azzarda la new entry Laura Puppato.
Dei suoi giovani leoni, Bersani vorrebbe al governo Fassina e Orlando (che è però anche uno dei favoriti per la segreteria Pd) ma sta facendo un pensierino pure su Alessandra Moretti; sono certi per dicasteri di peso Enrico Letta e Vasco Errani, probabile Franceschini, corteggiatissimo Fabrizio Barca; ben piazzati i centristi Tabacci e Riccardi ma si parla anche del giovane stratega casiniano Roberto Rao.
E i parlamentari? Visto che resterà probabilmente il Porcellum, voluto sia da Bersani che da Berlusconi, il segretario Pd si caverà d'impaccio con le «primarie», che gli consentiranno anche di evitare la rogna delle «deroghe» da concedere ai big, Bindi in primis. Visti i tempi strettissimi, però, avranno una platea di elettori molto ristretta (gli iscritti?) che premierà gli artefici della vittoria bersaniana (bassoliniani e ex Dc al Sud, ex Pci in Emilia) ma che rischia di penalizzare Renzi e chi con lui si è schierato: «Il 40% delle liste se lo scordano», dicono al Nazareno.

E comunque, là dove le primarie non si potranno fare, Bersani dovrà «rassegnarsi» ad usare le liste bloccate, che gli serviranno a «rinnovare» i gruppi e a promuovere i suoi: Gotor, Geloni, Speranza, Di Traglia, e il mitico Stumpo.

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