A Vespa il boom d'ascolti, a Grillo il pieno di voti. Era questo il patto sotterraneo della rivoluzione copernicana della telepolitica andata in scena ieri, Raiuno ore 23,20. Andrà davvero così? Sulla prima parte dell'accordo c'è da scommetterci. Troppo distanti, troppo divergenti i due protagonisti per non attirare il pubblico dei grandi eventi. E troppo clamorosa la conversione televisiva di Grillo per non sbancare l'Auditel. Vederlo andare a Canossa e sedersi sulla poltroncina bianca di Porta a Porta dopo un intero repertorio d'insulti al suo conduttore non ha prezzo. Invece è sul riscontro elettorale della serata che rimangono molti interrogativi. Molti dubbi.
Capello vaporoso, camicia bianca fuori dai jeans scoloriti, all'inizio Beppe Grillo è parso emozionato. Non ci sono le piazze e il popolo di militanti da galvanizzare, ma una platea diversa da coinvolgere e convincere. Un target estraneo, anziani e famiglie, il pubblico di Raiuno. I toni non possono essere da comizio insurrezionale. Tutt'altro: bisogna rassicurare, mostrare la faccia affidabile dell'antipolitica. Quadratura del cerchio complessa. Meglio dare del tu a Vespa. «Non sono un bravo ragazzo, ma nemmeno come mi dipingono, il terrore...». La poltroncina bianca è lì, se ne tiene distante. «Sediamoci dai», invita Vespa. Ma Grillo preferisce il monologo, l'arringa. «Se qualcuno mi avesse detto io e lui qui a fare questa cosa, l'avrei denunciato per diffamazione». Vespa fatica a fare le domande. Renzi? Altro pezzo di monologo. Ma più che attaccare il premier e Berlusconi l'obiettivo è ammaliare i telespettatori: «La mia è una rabbia buona». L'annunciato plastico con la prigione per i leader avversari non si vede. Il faccia a faccia va a briglia sciolte. Si salta da un argomento all'altro: gli 80 euro, il populismo, la democrazia del M5S, l'immigrazione, il reddito di cittadinanza, il fiscal compact, la green economy, l'Expo.
Vespa accetta la sfida dell'improvvisazione. Niente scaletta, può solo provare a salire sulla schiena della tigre. Ma si va a scossoni, senza una logica. Lo mette all'angolo sull'espulsione dei dissidenti del movimento 5 stelle. La solita risposta, «non sono io che decido, è la rete», non convince. Poco alla volta la furia distruttiva prende il sopravvento. Lo Sciamano mulina le mani, parla a raffica, si accalora e affastella concetti. Ma trasmette ansia e approssimazione. Se ne accorge anche lui. «Fammi rilassare». Il punto di forza è che rappresenta la rabbia e l'esasperazione della massa. Ma anche se si vota per le europee, e Vespa continua a ripeterlo, la domanda che rimane irrisolta è: gli si può dare in mano le chiavi del Paese? «Il voto è politico», replica Grillo che è lì perché si gioca tutto, ben più che i seggi di Strasburgo: «O noi o loro. Dobbiamo resettare tutto», scopre le carte. «Se vinciamo mandiamo a casa tutti». Però la rabbia non mostra un volto affidabile.
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