Ichino silurato: si scrive Pd ma si legge Cgil

L'hanno capito quasi tutti ma, a beneficio di qualche elettore moderato, dei partiti centristi che guardano a sinistra e anche delle istituzioni europee, è bene ribadirlo. Il Pd annata 2013 avrà l'impronta di Stefano Fassina, della Cgil e di Rosy Bindi. Pochissimo in comune con Mario Monti e la sua agenda. La conferma dell'andazzo preso dal Partito democratico è arrivata ieri con la rinuncia di Pietro Ichino alla candidatura. Non una vendetta di Pier Luigi Bersani per l'appoggio al sindaco di Firenze alle primarie (uno spoil system preventivo avrebbe avuto una sua logica). È stato il giuslavorista a rinunciare, spinto dal timore di ritrovarsi impantanato in un governo tipo il Prodi bis, appoggiato da una coalizione condizionata dalle estreme politiche e sindacali. Incapace di fare, se non in peggio.

Lo studioso, militante democratico da sempre su posizioni riformiste, ha spiegato di avere deciso per «alcuni difetti gravi di chiarezza» nella linea seguita oggi dal vertice del Pd, e per «l'imbarazzo in cui mi troverei, domani, nel fuoco della campagna elettorale, se questa ambiguità non venisse superata». Due giorni fa aveva osato chiedere l'adozione dell'agenda Monti a Pier Luigi Bersani e ieri, per tutta risposta, si è beccato il silenzio-rifiuto del segretario e le rampogne di Fassina, responsabile economico del partito ed esponente della sinistra interna. Chiaro il messaggio: scordati la poltrona di ministro del Lavoro e dimentica le tue idee sulla flessibilità del lavoro. Se un eventuale governo di centrosinistra si muoverà su questo campo, lo farà in direzione opposta rispetto alla tua.

Niente di nuovo.

Fa parte della tradizione della sinistra italiana: quando il partito si sente forte, vira a sinistra, consolida rapporti con gli alleati tradizionali come il sindacato di Corso d'Italia (con il quale Ichino ha rapporti pessimi) e fa fuori gli eretici. Quando è sotto schiaffo, si scopre moderno e a vocazione maggioritaria. Ora è il turno delle estreme.

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