È una condanna assurda Crolla la fiducia nel diritto

Col processo si è avviato un meccanismo perverso che ha prodotto un esito allucinante. E gli ermellini non si sono posti alcuna domanda

È una condanna assurda Crolla la fiducia nel diritto

Temo di scrivere, commentando il caso Sallusti, ciò che tanti altri scriveranno, probabilmente meglio di me. È che le reazioni d'ogni persona normale a questa vicenda non possono essere distensive e comprensive. La vicenda suscita sdegno - per la sua iniquità - ma suscita inquietudine per la sua kafkiana implacabilità. Una sorta di meccanismo perverso che, una volta avviato, ha proceduto con automatismi inarrestabili fino all'allucinante esito. È inspiegabile - o imperdonabile - che gli strumenti della legge e le azioni degli uomini cui la legge stessa è affidata procedano in parallelo per far trionfare l'ingiustizia. Lo so, molti hanno lamentato, nel corso dei secoli, il frequente divorzio del diritto dal buonsenso. Mai tuttavia - o quasi mai - come per Sallusti. Forse in una commedia di Ionesco sarebbero immaginabili i paradossi e le incongruenza su cui si è fondata la condanna - reiterata in Cassazione - del direttore del Giornale.

Se a un ragazzino non troppo sveglio venisse raccontato che la prima condanna di Sallusti, come direttore responsabile di Libero, era stata a 5mila euro di multa, e che la seconda - in appello - era stata di quattordici mesi di galera, il ragazzino non troppo sveglio si sarebbe chiesto quale Paese di matti è il nostro. Questo errore giudiziario e questo sproposito logico avrebbe suscitato allarme anche se vittima ne fosse stato un semplice cittadino. Non che Sallusti non lo sia, ma l'interrogativo banale sembra non abbia sfiorato né le menti dei magistrati di Cassazione, né i loro ermellini. Recitava un vecchio adagio forense che la Cassazione «dorme e rigetta, rigetta e dorme». Non so se questa volta abbia dormito - anche se lo sospetto - ma senza dubbio ha rigettato.
Non era in giuoco una questioncella per divieto di sosta o per schiamazzi. Era in giuoco la libertà d'un giornalista. Della cui libertà, appunto, i succitati ermellini si sono preso giuoco. Tutto questo, ripeto, ci metterebbe in ansia per chiunque ma Sallusti di professione fa il direttore di quotidiani, s'impegna in polemiche, suscita rancori e propositi di vendetta. Esercitata su di lui la robottiana cattiveria d'una legge che pretende di sapere tutto e a quanto pare non capisce nulla acquista una connotazione intimidatrice.
Il fatto che l'oggetto della diffamazione per la quale Sallusti dovrebbe scontare quattordici mesi di galera sia un magistrato accresce le inquietudini. L'idea che tra colleghi ci si aiuti vicendevolmente sarà anche maliziosa, non è una certezza, ma è un'ipotesi ragionevole. Sallusti, si osserverà, ha sbagliato. Osservo a mia volta che, stando alle sanzioni, i magistrati non sbagliano mai.

C'è che, addentrandosi nella giungla della legislazione italiana, ho sottolineato che tra le cause della faccenda Sallusti ci sono garbugli, ritardi, errori legislativi, omissioni pericolose. È possibile, anzi è probabile. Il Parlamento dà segni di distrazione e di negligenza nell'occuparsi di provvedimenti rilevanti, e delle loro modifiche. Non voglio certo insinuare che la politica, irritata dall'impertinenza dei giornalisti, voglia tenerli a freno. Ma non si è certo sbracciata per attuare norme che puniscano sì la diffamazione, ma non pretendano di farne un crimine grave in un Paese dove i truffatori e le truffatrici di anziani circolano a piede libero, e nulla temono.

Dai Tribunali, dagli appelli, dalla Cassazione.

Sallusti in carcere e tanti protagonisti di scandali immondi dai quali siamo assediati autorizzati invece a tenere conferenze e a partecipare ai talk-show? Il nonsenso ha un suo mostruoso fascino, come il sedere dell'elefante, ma le toghe cerchino di non esagerare.

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