Per la Consulta si può andare a votare anche subito, con il sistema elettorale della Prima Repubblica: proporzionale puro, senza premio di maggioranza e con una preferenza.
Nella motivazione della sentenza che il 4 dicembre ha bocciato il Porcellum i quindici giudici costituzionali ribadiscono, però, che il parlamento è legittimo, non contiene «abusivi» e può varare una riforma diversa da questo modello, rispettando naturalmente i paletti imposti dalla Carta: il premio di maggioranza deve avere una soglia di sbarramento (come hanno detto due precedenti sentenze) perché se non è proporzionato produce «una distorsione» e non ci possono essere lunghe liste bloccate, semmai piccole liste di pochi nomi, in modo che l'elettore possa sempre conoscere i candidati che sceglie (su questo punto l'Alta Corte non si era mai pronunciata).
Mentre nel palazzo del Quirinale, al di là della piazza, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano discute della riforma elettorale con il neosegretario Pd Matteo Renzi, la Consulta spiega che i due valori di governabilità e rappresentatività devono essere bilanciati nel modo giusto. E una minoranza non può diventare maggioranza.
Tutti e tre i sistemi sui quali ha aperto il dibattito il leader Pd Renzi sarebbero in teoria possibili: quello spagnolo, quello dei sindaci con il doppio turno e il Mattarellum modificato. «Non c'è - si legge nella motivazione - un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta».
Le «utili indicazioni al parlamento» della Consulta, come ha detto Napolitano, non indirizzano su una strada precisa, né escludono alcuno dei modello di cui si discute. D'altronde, così si invaderebbe la competenza delle Camere.
Dopo quasi tre ore di confronto sulla bozza del relatore Giuseppe Tesauro gli alti magistrati raggiungono, senza contrasti, l'accordo sul testo che apporta modifiche non sostanziali a quella quarantina di pagine proposte in udienza. Su questa base Tesauro e il presidente della Consulta Gaetano Silvestri continuano a lavorare nel palazzo alla stesura finale. E in tarda serata Silvestri e Tesauro firmano e depositano la motivazione di 26 pagine.
Quella che la Corte costituzionale consegna al Paese è una sentenza «additiva» che, si precisa, avrà i suoi effetti solo dalle prossime elezioni. Ma subito ha il suo peso nel dibattito rovente sulla riforma, sgombrando il campo da ogni alibi. Il parlamento, che diceva di dover attendere appunto queste motivazioni della Consulta, ora può lavorare con un quadro completo.
La Consulta dice chiaro che non c'è un vuoto normativo che impedisca di andare al voto oppure faccia rivivere, così com'è, il modello precedente al 2005, cioè il Mattarellum.
Al tempo stesso, riconosce che le Camere, per il «principio fondamentale della continuità dello Stato», hanno le carte in regola per fare la riforma. Perché, si legge nella motivazione, «sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare». La sentenza sul Porcellum «non tocca in alcun modo gli atti posti in essere» dal parlamento. E vale il principio della «retroattività» solo per quelli pendenti.
I paletti per la riforma sono due, già anticipati nel dispositivo della sentenza. Una preferenza dovrà essere assicurata, anche attraverso un regolamento o una norma ordinaria, perché l'elettore ha diritto di scegliere chi mandare in parlamento. Va bene anche il collegio piccolo su base provinciale come in Spagna o quello uninominale. Le liste bloccate corte non sono dunque in contrasto con la Costituzione.
Ribadita la bocciatura di un premio di maggioranza abnorme, ma l'Alta Corte non si spinge certo ad indicare quale percentuale sarebbe preferibile per una soglia minime.
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