Ma che c'entrano la riforma della legge elettorale e le parallele riforme costituzionali con l'attuale crisi economica? Riforme costituzionali e uscita dalla crisi sono due facce della stessa medaglia.Il quadro congiunturale italiano, come emerge dall'ultimo Bollettino economico della Banca d'Italia non è rassicurante. Le stime di crescita del nostro Pil per il 2014 (+0,7%), divergono rispetto alle stime del governo (+1%), contenute nella legge di Stabilità. Questo scenario, si inserisce nel quadro più ampio dell'economia globale, in cui da un lato Stati Uniti e Giappone hanno imboccato la via della crescita economica, dall'altro questi ritmi di crescita risentono e sono rallentati dall'incertezza e dai problemi strutturali dell'economia Ue. A distanza di sei anni dalla crisi, solo gli Stati Uniti tra i grandi paesi avanzati hanno superato il livello di Pil pre-disastro. Grazie al mutamento di politica monetaria e di bilancio degli ultimi anni, il Giappone è tornato allo stesso livello. Mentre l'area euro è ancora molto al di sotto del livello di Pil del 2007. Il divergere di risultati tra un'area e l'altra del mondo è dipeso non solo dai diversi problemi che ciascuna doveva affrontare, ma anche dall'intensità degli errori di politica economica dei singoli governi, con un effetto nel complesso depressivo sull'economia mondiale. Di conseguenza, tutti i paesi hanno agito in condizioni più difficili e tutti si trovano di fronte a rischi più forti di quello che sarebbe stato se avessero prevalso cooperazione e coordinamento delle politiche macroeconomiche.
L'irritazione americana per la politica europea è oltretutto crescente perché mina i fondamenti economici della trattativa sulla Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), fortemente voluta dal governo americano, ma che non è credibilmente perseguibile con una asimmetria forte di poteri e di politiche tra Bce e Federal Reserve, e senza meccanismi di coordinamento delle politiche macroeconomiche tra le due aree valutarie. Non c'è dubbio, infatti, che l'Europa porta una grande responsabilità non solo per gli spillovers negativi trasmessi al mondo ma anche per essere stato l'elemento mancante fino ad oggi di una possibile cooperazione economica internazionale. Gli effetti delle politiche europee non si limitano ai rapporti con gli Stati Uniti e alle interazioni tra i paesi occidentali. Dalla grande crisi del 2008, il sostegno alla crescita è venuto quasi esclusivamente dai tassi di crescita dei paesi emergenti come la Cina.
La Germania è tra i paesi che hanno più beneficiato di questo mercato in espansione, ma l'Europa non ha certo reso un favore a questi paesi comprimendo la propria domanda ed entrando in recessione.
Il rallentamento della domanda globale determinato dalle politiche europee ha, infatti, contribuito al rallentamento anche della crescita cinese e questo rallentamento ha rappresentato uno dei problemi che, di ritorno, hanno interessato lo scorso anno l'economia globale.
Il mancato coordinamento delle politiche macroeconomiche, in definitiva, rafforza in tutti i paesi la tendenza negativa di cercare di superare con politiche interne decise unilateralmente gli squilibri globali che già hanno determinato la grande crisi finanziaria ed economica dello scorso decennio. Si tratta di una tendenza negativa perché prelude a uno slittamento progressivo dalla cooperazione alla competizione e poi al conflitto. Slittamento che non sempre è stato confinabile alla sfera economica.
Da questo quadro emerge come le politiche economiche sbagliate, applicate in maniera acritica in tutti gli Stati dell'eurozona su imposizione della Germania negli anni della crisi rendano attuale il rischio non solo di disintegrazione dell'Unione monetaria e dell'Unione europea (da cui, negli anni 2011 e 2012 è derivata la tempesta finanziaria sui mercati e la grande speculazione sui debiti sovrani dei paesi dell'area euro), ma quello, più grande, di trascinare l'Unione in uno scontro frontale con gli interessi delle altre grandi economie del mondo. Questa consapevolezza delinea anche il quadro delle alleanze importanti che possono essere raccolte sul piano internazionale, non solo quindi tra i paesi membri dell'Ue, per una battaglia vincente.
Quello descritto è il quadro sintetico dell'economia globale entro cui sono maturate le scelte, sia strategiche sia di breve periodo, dei governi delle principali economie nel corso del 2013. Da esso emerge come la competizione globale richieda sistemi di governance forti, tanto a livello europeo quanto, per quel che ci riguarda, a livello italiano. In particolare, l'Italia ha bisogno di una riforma elettorale che rafforzi la stabilità dei governi. La teoria economica, a tal proposito, è incontrovertibile. Partendo dalla considerazione che i sistemi elettorali influenzano la politica economica, e in modo particolare quella fiscale, si arriva a sostenere che i sistemi elettorali proporzionali (nelle loro infinite varianti) rendono più facile l'aumento del numero dei partiti, l'alta frammentazione politica, e per questo finiscono inevitabilmente per potenziare conflitti intragovernativi, che inducono ad una maggiore (e inefficiente) spesa pubblica e, quindi, deficit, debito e alta pressione fiscale, che nella competizione globale, abbiamo visto non ci possiamo permettere.
Di contro, i sistemi maggioritari, meglio ancora se bipolari, sono sostenuti da elettori che non possono facilmente discriminare tra differenti opzioni politiche all'interno dei governi, o tra le specificità, anche ideologiche, dei partiti all'interno di vaste coalizioni; quindi, l'unico conflitto che può nascere è quello con l'opposizione, con il risultato, di un più forte controllo sulla spesa pubblica (e, quindi, sul deficit, sul debito, sulla pressione fiscale). Il partito al governo che aumenta deficit, debito e pressione fiscale, rallentando così la crescita e il benessere, inevitabilmente alle elezioni viene sanzionato dagli elettori.
Da questo deriva che i governi eletti in democrazie con sistemi maggioritari/bipolari tendono a tagliare le tasse, ma anche la spesa pubblica, in modo particolare durante gli anni elettorali. Mentre nelle democrazie con rappresentanza proporzionale l'evidenza empirica registra tagli alle tasse meno pronunciati e non registra tagli alla spesa pubblica. Questo perché il nesso tra il potere di controllo degli elettori e la rappresentanza politica è molto più diretto nei sistemi bipolari rispetto a quelli proporzionali.
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