"Così realizzeremo l'hotspot e aiuteremo il vostro Paese"

Al "Giornale" parla il direttore dell'approdo di Shengjin: "Favorevole all'accordo, si può fare senza fermare tutto"

Il porto di Shengjin, dove è previsto lo sbarco dei migranti
Il porto di Shengjin, dove è previsto lo sbarco dei migranti

«Quando un contadino entra in città, il governo è in pericolo». Il tassista che ci accompagna all'aeroporto di Tirana, prima di scendere dalla sua auto gialla con una buffa pinna tutta illuminata sul tettuccio, è in vena di incomprensibili battute (ma in italiano). Arriva da un quartiere popolare qua vicino, nell'area intorni a Rruga Regjimentit, cresciuto improvvisamente intorno a una moschea bianca e piccolina, i cui minareti però svettano, mentre il filo spinato ci annuncia che siamo arrivati al Nënë Tereza, diventato ormai il terzo aeroporto italiano dopo Milano e Roma per i voli da e per il nostro Paese.

Come far convivere l'Islam con Madre Teresa di Calcutta cui è consacrato l'aeroporto a 20 chilometri dalla capitale è esercizio difficile, ma non impossibile. «In Albania è peggio entrare in casa altrui con cattive intenzioni che discutere di religione», ci dice Shaban, indicandoci una casa in cui non troppo tempo fa un ragazzo è stato ucciso mentre veniva sorpreso a rubare. Le differenze religiose ci sono ma non si percepiscono, anche se di immigrati di origine africana non se ne vedono affatto. Certo, un conto è ospitare immigrati di un altro continente, come i 4mila afghani arrivati a Shëngjin (ne sono rimasti ancora circa 300) prima che il Paese tornasse sotto il giogo dei talebani, altro è aprire le case e i frigoriferi al mezzo milione di kosovari che nel 1999 scappava dall'ennesima guerra figlia dell'incubo comunista. In tv si parla ancora dell'accordo arrivato al Parlamento di Tirana tra il premier Edi Rama (nella foto) e Giorgia Meloni per l'hotspot di Shëngjin, meta turistica per gli albanesi di ritorno e i kosovari ma anche della vicina Scutari, la Firenze dei Balcani che presto verrà collegata con una nuova strada alla cittadina da 10mila abitanti della Prefettura di Alessio, guidata da Gentian Malotaj. Che con il Giornale prima si schernisce poi si chiude a riccio.

A parlare è invece Sander Marashi, che del porto è il direttore: «Sono favorevole all'accordo», scrive nel messaggino in inglese, confermando il sostegno all'iniziativa del governo. Organizzare l'hotspot senza interrompere l'operatività del porto non sarà difficile, assicura: «Il mio compito come direttore è creare le facilitazioni per portare avanti le operazioni dal lato italiano». E senza nascondere un po' di sano patriottismo sottolinea: «L''ospitalità albanese non è a parole, ma nei fatti». Certo, un campo profughi mal si concilia con l'idea di un turismo d'élite europeo. L'anno scorso sono arrivati nove milioni di turisti, uno solo da queste parti. Fa rumore l'affondo del presidente dell'Albanian institute for international studies Albert Rakipi, secondo cui l'accordo sarebbe «ridicolo, irragionevole e insostenibile. Nessuno delle migliaia di persone che rischia la vita sogna di finire in un campo profughi di un piccolo Paese povero, ai confini dell'Europa». «Qualsiasi decisione che possa contribuire a spezzare il modello di business dei trafficanti e a ridurre il numero di arrivi illegali in Europa, nel rispetto dei nostri valori e delle nostre leggi fondamentali, è un passo nella giusta direzione», è la fredda replica il presidente Ppe al Parlamento europeo Manfred Weber. «Se il migrante è soccorso da una nave italiana in acque internazionali non è soggetto alla legge Ue, ma alla legge italiana», sottolinea al Giornale una fonte che ha lavorato all'intesa. «Nei centri standard di sicurezza altissimi, chi sarà riconosciuto come rifugiato andrà in Italia, gli altri saranno rimpatriati», dice in serata Rama, che poi rivela: «Altri Paesi gli avevano chiesto accordi simili».

Il via libera della Ue arrivato ieri non spegne il dibattito sulla legittimità del provvedimento né placa le polemiche interne - con l'opposizione albanese di centrodestra che reclama un passaggio parlamentare dell'accordo («tanto basta la maggioranza semplice perché passi», dice lo stesso Rama, forte di 74 seggi su 140) - mentre la sinistra italiana scrive al presidente del Senato Ignazio La Russa: «L'accordo venga trasmesso alle Camere, lo prevede l'articolo 80 della Carta sulle ratifiche di accordi internazionali», dicono i capigruppo a Palazzo Madama Francesco Boccia (Pd), Stefano Patuanelli (M5s), Peppe De Cristoforo (Avs) ed Enrico Borghi (Italia Viva). «La ratifica di un trattato non impedisce che ci sia un dibattito che avverrà martedì con il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani», assicura il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, che poi ironizza: «Noi la ricetta contro l'immigrazione clandestina ce l'abbiamo. Quella della sinistra non l'abbiamo ancora capita...». Tajani conferma: «Martedì sarò in Aula, ci sarà dibattito, ci saranno le risoluzioni, si voterà». Sotto sotto, i nemici dell'intesa Rama-Meloni sperano nell'aiutino dei giudici: «Abbiamo visto come è finita con il Ruanda, certi accordi durano poco», dice il renziano Ivan Scalfarotto.

«Tra ricorsi e controricorsi ci penserà la Corte di giustizia Ue a smontare tutto», sibila l'eurodeputato del gruppo S&D Pietro Bartolo. Dal soccorso in mare al soccorso rosso il passo è breve. Anche dalla sponda balcanica dell'Adriatico.

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