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Crisi di governo, il Colle rispetta la Costituzione?

Sul sito Dagospia, si evidenzia l'ipotesi che Napolitano non stia rispettando il dettato della Costituzione: "Sulla base di cosa potrà accettare le dimissioni del premier? Vi è stato forse un voto di sfiducia al governo?". Ma i costituzionalisti non ravvisano anomalie. Michele Ainis: "Lo stesso è avvenuto con l'ultimo governo Berlusconi". Claudio Martellini: "Nella storia repubblicana nessun esecutivo è caduto dopo una mozione di sfiducia"

Crisi di governo, il Colle rispetta la Costituzione?

In un quadro politico estremamente complesso, con l'annuncio delle dimissioni di Mario Monti e con le pochissime indiscrezioni emerse dall'ultimo incontro tra il premier e il capo dello Stato – capire quali potrebbero essere gli scenari futuri è opera ardua.

L'unica certezza è che la tanto auspicata "conclusione ordinata della legislatura", speranza nutrita ed espressa da Giorgio Napolitano, appare ormai una chimera. Ed è proprio su questi ultimi giorni di crisi di governo e sulla gestione di questa crisi da parte del Quirinale che si annidano dubbi e analisi.

Napolitano ha operato e sta operando nel pieno rispetto del dettato costituzionale? Accetterà le dimissioni di Monti, sebbene quest'ultimo non abbia ricevuto alcuna mozione di sfiducia nei confronti del suo governo? Oppure procederà alle consultazioni? Insomma, si sta svolgendo tutto secondo prassi?

Prendendo spunto da una lettera pubblicata sul sito Dagospia – nella quale si insinuavano dubbi sull'operato attuale e futuro del Colle – abbiamo provato a capire, sentendo autorevoli costituzionalisti, se ci sia qualcosa da recriminare o da biasimare nella gestione della crisi.

E la risposta che è emersa è negativa, al netto della particolarità del momento politico contingente. Di sicuro, il fatto che Monti abbia annunciato le sue dimissioni a conclusione della legge di Stabilità (dimissioni che saranno molto probabilmente accettate da Napolitano) non costituisce un unicum.

Quando è andato in crisi l'ultimo governo Berlusconi, è successa la stessa cosa perché Berlusconi disse che si sarebbe dimesso dopo l'approvazione della legge sulla stabilità e quindi ci furono delle predimissioni come quelle di Monti”, ricorda il professore Michele Ainis, ordinario di diritto pubblico all'Università di Teramo e noto editorialista del Corriere della Sera.

Che poi traccia un excursus delle precedenti crisi di governo, evidenziando come siano state tutte crisi “extraparlamentari, cioè che avvengono al di fuori della votazione di una mozione di sfiducia al governo in carica”.

Poco importa dunque che Monti abbia tratto le sue conclusioni da un intervento in Aula, quello di Alfano, che non rappresentava una vera e propria mozione di sfiducia. Mozione di sfiducia che "è prevista dall'articolo 94 della Costituzione e ha tutta una serie di orpelli che devono essere rispettati per essere votata", spiega Claudio Martinelli, professore di diritto costituzionale e di diritto pubblico comparato all'università Bicocca di Milano.

Che poi aggiunge: "Il giudizio di Alfano era una certificazione del venir meno di un appoggio politico imminente. A questo punto il premier può decidere che fare, non ha obbligo di dimissioni, ma ha facoltà di interpretare politicamente quell'atto come meglio ritiene opportuno e l'ha reputato come il venir meno della fiducia del Pdl e ha annunciato che una volta completato quello che è considerato un atto dovuto (la legge sulla stabilità) si sarebbe dimesso".

Insomma, trattasi di quella che in linguaggio giurista si definisce crisi extraparlamentare. "Mai nessun governo nella storia repubblicana è caduto a causa di una approvazione di una mozione di sfiducia. Solo due governi sono caduti per una bocciatura di una questione di fiducia ed erano entrambi governi Prodi. Tutte le altre crisi sono state determinate da voti parlamentari su leggi che ai sensi dell'articolo 94 della Costituzione non comportano obbligo di dimissioni da parte del premier o il più delle volte sono state determinate da questioni interne alla maggioranza", spiega Martinelli.

Nemmeno il rinvio del governo alle Camera, da parte del presidente della Repubblica, rappresenta un obbligo costituzionale. “Il rinvio alle Camere è una mera prassi adottata qualche volta da qualche capo dello Stato ma non è un obbligo costituzionale", aggiunge Martinelli.

Così come nemmeno la strada delle consultazioni è una scelta obbligata. “Il cerimoniale della crisi cosa dovrebbe prevedere? Il premier si dimette, il capo dello Stato lo rinvia alle Camere - e ciò si chiama parlamentarizzazione della crisi che era nata come extraparlmentare - poi si fanno le consultazioni, e si verifica se ci sono i numeri per un nuovo governo o per una nuova maggioranza. Ma tutto questo quando manca un mese alla fine della legislatura diventa ridicolo e bizantino”, fa notare Ainis.

Che ripercorrendo il passato, spiega come "scenari simili si siano già consumati, non nel caso dello scioglimento del 2008 perché lì allora Napolitano fece un tentativo con Marini, andò male e lui sciolse. Ma questo è uno scioglimento anomalo, di un mese, sarebbe abbastanza ridicolo formare un nuovo governo per farlo governare una settimana. È una strada obbligata lo scioglimento”.

Anche Martinelli è d'accordo sul fatto che "adesso si tratterebbe di fare uno scioglimento anticipato in senso tecnico ma non sostanziale perché la legislatura sta andando a morire". Insomma, sicuramente è uno scenario anomalo quello che si potrebbe configurare, ma sicuramente non contrario ai dettami della Carta.

Sul motivo per cui la data delle elezioni pare sia stata individuata nel 17 febbraio, senza riprendere invece l'ipotesi iniziale che prevedeva che si svolgessero alla metà di marzo o ai primi di aprile, i due docenti non ravvedono motivi di critica, ma divergono sulla motivazione che sta alla base di questa eventuale scelta.

“La Costituzione prevede che la determinazione della data delle elezioni avvenga dai 45 ai 70 giorni dallo scioglimento delle camere. Sicuramente in questo caso hanno influito due fatti: che ci sia la volontà di ricostituire le camere nel più breve tempo possibile e che in regioni come la Lombardia e il Molise la data più probabile per le regionali fosse stata individuata nel 17 febbraio”, sostiene Martinelli.

Per Ainis invece "c'è una forte pressione politica del centrodestra che punta all'election day, per ragioni politiche e per evitare di indebolirsi ulteriormente perdendo alle regionali prima delle politiche”. Comunque sia, quello su cui concordano i due costituzionalisti è la necessità di fare presto.

Perché “con questi chiari di luna, lo spread e tutto il resto è bene che il periodo di interregno sia il più breve possibile”, conclude Ainis.

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