Cronista in cella per gli errori della procura

Il caso di Francesco Gangemi: il 79enne ha chiesto misure alternative, ma i giudici hanno ignorato l'istanza

Cronista in cella per gli errori della procura

Non doveva finire dietro le sbarre Francesco Gangemi, direttore del mensile Il Dibattito. Non poteva. Lo grida il suo avvocato, Giuseppe Lupis, mostrando le carte che smontano l'ordine di carcerazione che tiene in guardina il giornalista reggino a dispetto dei suoi 79 anni e di condizioni di salute che definire precarie sarebbe un eufemismo: un cuore che batte solo perché sospinto da 4 by pass, un corpo scosso dai fremiti del Parkinson, la chemio che ha portato via pezzi di prostata e di fegato. Un uomo così, dichiarato invalido al 100%, è in prigione da cinque giorni. A saldare un debito con la giustizia fatto di sentenze di condanne per diffamazione, riportate nell'esercizio d'una professione giornalistica lunga 30 anni.

Ma i conti, si scopre ora, non tornano. Cominciando dalla fine, dal provvedimento restrittivo firmato dalla Procura generale catanese: Gangemi viene spedito in galera per scontare due anni di reclusione, rispetto ai quali, si legge nell'atto, ha omesso di chiedere misure alternative. Ma non è così: il 14 novembre il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro discuterà l'istanza in tal senso avanzata dai suoi difensori nel 2012, dopo un avviso di cumulo di pena notificato dalla Procura di Cosenza.
Un'udienza fissata da mesi, ma sconosciuta alla magistratura etnea. «Non è l'unica incongruenza - spiega l'avvocato Lupis - che ci ha portati a chiedere l'annullamento dell'ordine di carcerazione: non abbiamo mai ricevuto alcun avviso del nuovo cumulo né dell'ultima sentenza passata in giudicato, sulla scorta della quale la Procura catanese si ritiene competente quale giudice dell'esecuzione della pena, sovrapponendosi ai suoi colleghi cosentini».

Non bastasse, nella lista delle pendenze irrevocabili figura pure una pronuncia del maggio 2012, oggetto però di un processo d'appello ancora in corso. Questioni pesanti come macigni, che passano quasi in secondo piano di fronte alla fermezza di Gangemi. I legali hanno presentato richiesta di scarcerazione per motivi di salute, ed il Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria ha disposto l'acquisizione delle cartelle cliniche, con inevitabile allungamento dei tempi. Ma il direttore de Il Dibattito sembra assistere impassibile al vortice giudiziario che lo ha risucchiato. «L'ho incontrato martedì in carcere», racconta ancora Lupis. «Sta male ma non ha perso dignità di fronte ad una storia che nasce dalla volontà di togliere di mezzo l'unico foglio veramente libero della città». La sua vicenda, ignorata dall'Ordine dei giornalisti, resta indifferente alla politica, «che magari starà festeggiando», ironizza il figlio Maurizio, «visto che papà non ha mai avuto un occhio di riguardo per nessuno».

Franco Corbelli, leader del movimento Diritti Civili, per Gangemi ha chiesto la grazia. La famiglia ringrazia, ma boccia l'ipotesi.

E l'interessato, tramite il suo difensore, respinge l'offerta: «Coprirebbe illegalità che io non ho mai commesso», manda a dire. Perché lui non si ritiene un criminale, ma un giornalista. Un altro di quelli che l'Italia ha sbattuto al fresco, alla faccia della libertà d'opinione.

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