RomaLe informazioni sulle sue indagini Ilda Boccassini se le teneva strette. Faceva di testa sua il capo del pool antimafia della Procura di Milano e ignorava l'obbligo di metterle a disposizione dei colleghi a livello nazionale. Escludeva dalle riunioni Filippo Spiezia, delegato al coordinamento con Roma, respingeva ogni sua richiesta di atti o informazioni. E su 101 procedimenti milanesi con 1.400 indagati, solo uno è finito nella banca dati della Dna.
Per questo al Csm hanno deciso di segnalare la Boccassini per un eventuale processo disciplinare e la sua carriera potrebbe subire uno stop. È la prova che lo scontro tra il procuratore milanese Edmondo Bruti Liberati e l'aggiunto Alfredo Robledo ha aperto un inesauribile vaso di Pandora. E, con buona pace del Quirinale, è difficile chiuderlo in gran fretta come si vorrebbe.
È molto critico il giudizio sulla pm della Prima commissione di Palazzo de' Marescialli, che all'unanimità chiede al plenum (la decisione la prossima settimana) di inviare ai titolari dell'azione disciplinare e alla commissione competente sugli incarichi direttivi, gli atti che dimostrano le «oggettive criticità riscontrate» nei rapporti tra dipartimento antimafia guidato dalla Boccassini nel periodo 2010-2013 e Superprocura nazionale. Questo, pur chiedendo di archiviare il caso, senza trasferimenti d'ufficio dei protagonisti.
Il relatore Mariano Sciacca (Unicost) punta il dito sulla «generale carenza dei flussi informativi riferibili alla Dda di Milano», soprattutto quando Ilda prese le redini della Dda. La pm, ha raccontato nell'audizione alla VII commissione Spiezia (diventato coordinatore a maggio 2012), non riconosceva l'«obbligo di informazione rafforzato» alla Dna, più volte affermato dalla Cassazione. Al sostituto nazionale antimafia che si lamentava di essere tenuto all'oscuro di tutto, lei chiudeva la porta in faccia e gli altri colleghi commentavano: «Sai com'è fatta Ilda, non ci ha fatto più sapere niente...». Più volte Spiezia parlò con Bruti delle difficoltà, ma fu lui a finire nei guai per lamentele fatte dalla Boccassini nei suoi confronti, rivelatesi infondate. Alla fine chiese di lasciare l'incarico e nell'ottobre 2013 fu sostituito da Anna Canepa, che lo aveva preceduto e già aveva segnalato criticità. Ma la sua relazione-denuncia rimase agli atti e torna d'attualità.
Subito dopo l'avvicendamento, come ha detto nell'audizione al Csm, il successore di Piero Grasso, Franco Roberti, fu costretto ad andare a parlare con Bruti e Boccassini e solo nell'ultimo periodo vi fu un «lieve miglioramento» nei rapporti.
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