Bye-bye Borsa, addio a Bot e Btp, e anche un commiato a bond bancari e obbligazioni corporate. A forza di liquidare parte della ricchezza posseduta in strumenti finanziari, in meno di due anni e mezzo gli italiani si sono riportati a casa la bellezza di 715 miliardi di euro, quasi un terzo dell'intero debito pubblico. A colpi di cifre, il bollettino della Consob è un bel racconto privo di parole e senza pretese sociologiche sul comportamento dei risparmiatori ai tempi della crisi. È il ritratto di un Paese in fuga: per paura o per necessità. Le tasse da pagare, un posto di lavoro perso, una scadenza debitoria cui non si riesce a far fronte sono le possibili molle del disinvestimento. Oppure la causa può essere la semplice sfiducia nei confronti dei mercati, un venire meno della capacità di resistenza alle perdite e alle cattive notizie. Un motivo vale in fondo come un altro, perchè poi - alla fine - sono ancora i numeri a parlare. Sono quei quasi 2mila miliardi, che a inizio 2010 equivalevano al totale degli investimenti finanziari effettuati nel nostro Paese, diventati a settembre 2012 «appena» 1.270. Una liposuzione, pari al 36% della cifra iniziale, che ha drenato miliardi da tutte le categorie: la ricchezza in titoli di Stato italiani è scesa da 414,3 miliardi a 265,4 miliardi; quella in azioni italiane da 254,7 a 101,5 e quella in bond di imprese finanziarie (soprattutto banche) da 806 a 478,7 miliardi. Non si sono salvate neppure le azioni estere (da 33,7 a 16,4) e i titoli di Stato stranieri (da 74 a 41,2).
Con ogni probabilità, parte della liquidità ripristinata è stata dirottata Oltreconfine. Una misura difensiva che trova peraltro riscontro nei calcoli del Fondo monetario internazionale, in base ai quali tra giugno 2011 e giugno del 2012 hanno preso il volo dall'Italia 235 miliardi. Si tratta del 15% del Pil e di una cifra nettamente superiore ai 95 miliardi rimpatriati con lo scudo fiscale di Tremonti. Un fenomeno, quello dell'esodo di capitali, forse intensificatosi negli ultimi giorni dopo l'affaire Cipro. Molti temono che il prelievo forzoso sui conti correnti possa costituire un modello applicabile anche all'Italia. È un'ipotesi che il capo-economista dell'Ocse, Pier Carlo Padoan (nella foto), non prende però in considerazione: Italia e Spagna hanno buoni fondamentali e «non presentano alla radice cause di preoccupazione». Padoan trova conforto nell'evoluzione del quadro congiunturale italiano. «Si conferma una crescita generalmente negativa quest'anno, ma si tratta di una recessione che si sta avviando alla fine con un ritorno alla crescita positiva fra la fine di quest'anno e l'inizio del prossimo». Per il momento, l'organizzazione parigina prevede un Pil negativo dell'1,6% nel primo trimestre e un calo dell'1% tra aprile e giugno, record negativo del G7, mentre per l'Europa la ripresa tarderà ad arrivare con il mercato del lavoro dell'area euro che continuerà a deteriorarsi.
Certo all'Italia i problemi non mancano, aggravati per di più dallo stallo politico. Ieri la Borsa ha tuttavia tenuto, terminando quasi in parità (-0,10%). Potrebbe essere il segno di una tregua in vista della pausa pasquale, ma anche di una scommessa sulla rapida costituzione di un governo delle larghe intese. «In generale è bene avere un governo stabile», ha detto il portavoce del Fmi, Gerry Rice (nella foto, il direttore Christine Lagarde), per proseguire «con il risanamento e le riforme».
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