Diffamazione, il Senato si spacca. E i giornalisti minacciano sciopero

Il Pdl difende la norma "salva-direttori", per il Pd il testo è "improponibile". L'Aula boccia la sospensiva al ddl. Entro martedì la decisione. E lunedì forse stop dei media

Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti

Roma - Sul ddl diffamazione, ormai intitolato ad Alessandro Sallusti, a Palazzo Madama si ritrova lo sprint perduto. Malgrado i ripetuti tentativi del Pd, che definisce il testo «improponibile», riprende l'esame con l'obiettivo di approvarlo entro martedì. Il Pdl lo spinge e la Lega, pentita, si accoda. Ma contro ci sono anche Udc, Idv e Api.
«Sta diventando una telenovela», commenta il presidente del Senato Renato Schifani. Mentre Federazione della stampa e Ordine dei giornalisti preannunciano uno sciopero per lunedì, se il testo non cambierà, dicendosi pronti a pagare le multe per il mancato preavviso di 10 giorni della Rai.
Il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri conta invece di correggere, almeno in parte, la sciagurata versione del 13 novembre, in cui Lega e Api hanno fatto tornare il carcere che si doveva abolire. L'emendamento Berselli, detto «salva-direttori», lascerebbe la detenzione in alternativa alla multa solo per l'autore dell'articolo giudicato diffamatorio.
In Senato l'aula si spacca e viene respinta di stretta misura, sembra per 5 astenuti, la sospensiva chiesta da Pd e appoggiata da Udc, Idv e Api. La Lega, dopo l'errore, si ravvede. «Ritireremo tutte le proposte di modifica, revocheremo la richiesta di voto segreto e diremo sì alla norma “salva-direttori”», annuncia Roberto Mura.
Si decide così di proseguire oggi e anche lunedì in seduta straordinaria «fino ad esaurimento». «Lo chiedo da 7 anni e questa sarebbe la prima volta», protesta la capogruppo Democratica, Anna Finocchiaro. Si dovrebbe concludere martedì e lasciare il campo alla riforma del Porcellum.
Respinta, infatti, la proposta Pd di un calendario alternativo per discutere appunto legge elettorale e decreti prima del ddl Sallusti. «Basta con questo accanimento terapeutico, sono altre le priorità del Paese», sbotta la Finocchiaro. Che avvisa: «Il ddl è destinato a morte sicura alla Camera».
Ma Gasparri è convinto di essere sulla strada giusta: «Questa legge ha una sua urgenza, noi dobbiamo esprimerci sui principi e sui valori, al di là della valutazione sulle persone». Intanto l'Api presenta due subemendamenti, firmati da Francesco Rutelli e Franco Bruno, per istituire l'albo degli pseudonimi e per correggere la criticatissima differenza di sanzione: carcere per il giornalista, multa per il direttore. Rimarrebbe solo se non c'è concorso tra i due, ma se il direttore non ha partecipato «all'ideazione o alla redazione» dell'articolo e ne ha «solo deciso la pubblicazione».
Per Sallusti, così, rimarrebbe la condanna a 14 mesi di detenzione, visto che per i magistrati è stato lui a volere la «campagna diffamatoria» del 2007 su Libero, che dirigeva, con l'articolo scritto da Renato Farina sotto lo pseudonimo Dreyfus che ha provocato la querela del giudice Giuseppe Cocilovo.
Il mondo dei mass media è in subbuglio, ormai vede il ddl Sallusti che doveva abolire la vergogna del carcere come un rimedio peggiore del male. «Al punto in cui si trova - dice il segretario Fnsi Franco Siddi - il ddl è improponibile, fomenta scontro e alimenta ingiustizia. Non passerebbe neppure un serio vaglio di costituzionalità». Vittorio Feltri lo definisce «un'idiozia, una scappatoia che dimostra il livello infimo del nostro Parlamento». Per il portavoce di «Articolo21» Giuseppe Giulietti «il centrodestra ci riprova con la legge sulla diffamazione, diventata una vera e propria “legge manette”».
Luigi Li Gotti dell'Idv è sicuro che «nessuna norma arriverà mai in tempo per evitare al direttore Sallusti il carcere o la misura alternativa che la procura generale d'ufficio potrà concedere».

Vincenzo Vita del Pd parla di «obbrobrio, una vergogna inaudita, un provvedimento nato per eliminare il carcere, l'ha riproposto persino in modo plateale». «Fare un discorso su un tema così delicato - commenta Gianpiero D'Alia dell'Udc -, in riferimento ad un singolo argomento, sapendo che la legge non verrà alla luce è un atto di autolesionismo politico».

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