E le case popolari pagano quanto i resort

RomaUn'imposta necessaria, vitale per i comuni, ente preposto a erogare i servizi sociali. Così dicono i difensori. Poi però scopri che l'Imu è un Robin Hood all'incontrario: ruba ai poveri, persino alle case popolari, per dare a non si sa bene chi. La denuncia arriva da Federcasa, organizzazione che riunisce gli enti ex Iacp. Società pubbliche che amministrano oltre 850mila immobili concedendoli a canoni agevolati (in media cento euro al mese) a persone e famiglie in difficoltà. Su questi immobili, l'imposta più odiata dagli italiani grava senza troppi sconti e gli enti sono trattati al pari di società immobiliari che gestiscono resort di lusso.
La mazzata è arrivata con il Salva Italia, prima manovra del governo Monti, che ha assoggettato il patrimonio di edilizia residenziale pubblica gestito dagli enti ex Iacp all'aliquota ordinaria, cioè quella che vale per la seconda casa, con un'unica concessione, cioè la detrazione di 200 euro prevista per la prima casa.
Prima dell'era Monti, con l'Ici, c'era la totale esenzione. Ma anche rispetto agli anni precedenti al 2008, prima quindi che ci fosse l'esenzione Ici decisa dal governo Berlusconi, le novità introdotte dal Salva Italia comportano un aumento dell'imposta comunale del 60%. Sono circa 300 milioni di euro in più che si aggiungono ai 201mila di imposizioni ordinarie che già gravano sugli enti che amministrano il mattone sociale.
Si dirà, un problema degli stessi enti e quindi, indirettamente, dello Stato che tassa. Ma le cose, purtroppo, non vanno così, spiega Emidio Ettore Isacchini, Presidente di Federcasa e dell'Aler Brescia. «Così si sottraggono risorse alle nostre aziende che non sono i baracconi che a volte si descrivono. Abbiamo i conti a posto, ma per continuare così saremo costretti a diminuire gli interventi di solidarietà sociale per i clienti in difficoltà e a destinare meno soldi per la manutenzione, che produce ogni anno circa 200 milioni di investimenti. A rimetterci saranno le fasce di popolazione più deboli. E anche i comuni, perché un nostro intervento in meno significa un problema in più per loro». Il braccio di ferro è proprio con i sindaci che non sono disposti a fare sconti alle case popolari. «Nella trattativa con il governo, siamo riusciti a ottenere la rinuncia dello Stato alla sua quota di imposta, lo 0,38%. Ma i comuni vogliono appropriarsene». Risultato, la metà delle entrate degli enti, cioè i micro canoni di locazione, sarà destinata al pagamento dell'imposta comunale. E il resto non basta ad amministrare gli immobili.
Senza manutenzione è facile immaginare che i quartieri dove si trovano le case popolari degraderanno, con conseguenze gravi per tutti. «Si rischiano danni irreparabili, con la trasformazione dell'emergenza casa da tema sociale a problema ordine pubblico», avverte Isacchini.
Federcasa propone l'esenzione totale dell'Imu per le case popolari. «Oppure vorremmo un trattamento, non dico preferenziale, ma almeno paritario rispetto agli altri». E il riferimento è ai benefici fiscali dei soggetti privati, che non toccano alle case popolari. Forse l'edilizia pubblica fa parte di quel modello di welfare che con il tempo sta diventando sempre meno utile e sempre più costoso? «No - assicura Isacchini - di edilizia popolare c'è ancora bisogno.

Di persone per strada ce ne sono più di prima, basti pensare ai padri divorziati che dormono in macchina. A Brescia su 3.000 domande riusciamo a consegnare 300 case e la proporzione nel resto d'Italia è la stessa. Uno a dieci».

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