
"Odio il politicamente corretto, lo vedo come una costrizione, una barriera. È finto... Odio il mainstream. Dici quello che dicono tutti, e se non lo fai non sei nel club giusto. Questo è un modo per restare fermi. Una scatola vuota, un concetto vuoto. Nella vita bisogna mettere tutto in discussione". L'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi, non usa mezzi termini per confessare al Financial Times la sua idiosincrasia per il pensiero conformista incontrato in Europa. E in una lunga intervista al quotidiano della City si racconta ripercorrendo i 18 anni all'estero, soprattutto in Africa, ma anche parlando delle sfide future.
Da undici anni al timone del Cane a Sei Zampe, Descalzi contesta la narrazione che dipinge le grandi compagnie petrolifere come le principali nemiche del progresso climatico. "Un grande problema, però se per affrontarlo la prima cosa che fai è cercare un nemico, allora credo che tu non voglia davvero risolverlo. Vuoi solo trovare un nemico", sottolinea. Insomma, se davvero il mondo vuole andare oltre i combustibili fossili non spetta solo alle aziende smettere di produrli, ma anche ai consumatori smettere di usarli. "L'Europa pensa che il mondo sia come l'Europa, ma non è così" perché il Vecchio Continente "rappresenta solo il 5% della popolazione mondiale". Eni è più piccola di colossi come ExxonMobil, Chevron e Shell e per Descalzi è fondamentale capirne il divario, "loro hanno i soldi, i muscoli. Una forte presenza politica che noi non abbiamo". La transizione energetica è stata "utilissima" perché ha obbligato l'azienda a slegarsi dalle proprie radici e affrontare un futuro di calo delle entrate da petrolio e gas. Molti concorrenti hanno optato per fusioni, acquisizioni e tagli ai costi, ma Descalzi ha seguito una strada diversa. "Ci serviva una tecnologia proprietaria per il futuro, volevo avere tutti gli strumenti in mano per poter essere flessibile e capire come potermi sganciare da petrolio e gas". Mentre altri esternalizzavano, osserva il quotidiano, lui riportava competenze all'interno. E ha raddoppiato gli sforzi nell'esplorazione, proprio mentre altri li riducevano. "In generale, le aziende energetiche non amano l'esplorazione perché il rischio è molto alto. In media, il 70-80% degli investimenti viene svalutato. Ma a me piace andare dove c'è meno concorrenza".
Nell'intervista il manager racconta aneddoti e ricordi personali. Come quando negli anni 90, mentre infuriava la guerra civile nella Repubblica del Congo, dormiva sotto al letto insieme alle sue figlie, per evitare di essere colpito da colpi da arma da fuoco durante la notte. "Mia moglie era incinta, fortunatamente riuscì a lasciare il Paese. Io rimasi bloccato con le mie due bambine". Passarono due anni prima che rivedesse l'Italia. "Ero responsabile degli espatriati rimasti lì. In quelle circostanze, l'ultima cosa a cui pensi è il cash flow o le operazioni".
Alla domanda dell'FT su quanto resterà ancora alla guida della società, Descalzi risponde che "siamo in una situazione volatile, e non è facile cambiare leadership molto spesso.
Ma ovviamente - aggiunge - un Ceo non può restare per sempre". Bisogna avere una motivazione, una visione del futuro, e "la mia è stare fuori dal mainstream. Possiamo rompere la superficie e crescere solo se abbiamo persone capaci di fare le cose in modo diverso".