Arturo Lama ebbe nel 1997 la prima avvisaglia che qualcosa non funzionava nel macchinario più complesso affidato alle sue cure: «In cinque giorni persi completamente i capelli e i peli, che da allora non mi sono più ricresciuti. I medici non hanno mai saputo spiegarmi il perché». Tre anni fa, il secondo scossone: «Un tumore all'esofago. Sono riusciti a operarmi. Poi mi hanno imbottito di chemio. In questi giorni sono stato sottoposto a una Pet, la tomografia a emissione di positroni. Attendo l'esito. Speriamo bene».
Adesso gira con una manciata di caramelle nella borsa d'ufficio, perché ogni tanto perde all'improvviso le forze e deve succhiarne un paio, altrimenti sviene per strada, «un altro mistero, visto che pressione arteriosa, glicemia e battito cardiaco in quei momenti sono regolari». Pur non avendo mai smarrito il buonumore a causa di queste traversie, fu nel 2011, con il cancro addosso, che Lama, 67 anni a settembre, imprenditore originario di Brescia, decise di dover mettere in sicurezza il macchinario che gli stava a cuore più della sua stessa vita, l'Eds, cioè l'Energy double system, un sistema idraulico da collocare sulle coste o sulle banchine dei porti, in grado di trasformare il moto ondoso di mari e oceani in elettricità e quindi di segnare una svolta nel comparto delle energie rinnovabili: gli sono già state dedicate cinque tesi di laurea e un dottorato di ricerca. «Io posso anche morire, tanto lo so che la bestia qualche cellula malata te la lascia sempre in giro», trova la forza di scherzare, «ma i miei ragazzi devono poter andare avanti, avere la sicurezza del posto di lavoro e raccogliere i frutti di questa invenzione».
I suoi ragazzi non sono i figli, che non ha avuto dal matrimonio con Mariangela Colosio, ma è come se lo fossero. Sono i 7 dipendenti della Tecnomac di Flero che fondò un quarto di secolo fa, dove la moglie è socia di maggioranza, l'amico Silvio Fe socio di minoranza e lui progettista e amministratore. «Il più giovane ha 24 anni, il più vecchio 45. Fresatori, tornitori, alesatori, rettificatori, montatori che mi sono tirato su a pedate nelle caviglie, tutti capaci di fare tutto. Era giusto che firmassi io, in banca, le garanzie che loro non potevano dare».
Al suo lavoro Lama ha sacrificato molto, incluso l'indice della mano destra: «Stavo lavorando al collaudo di una macchina, qualcosa s'era inceppato, ho chiesto all'elettricista di togliere il segnale per dare una controllata, ma lui non l'ha fatto e il marchingegno s'è rimesso in moto, tranciandomi la falangetta del dito. Meglio così. In seguito a quest'amputazione traumatica, sono spariti dalla sera alla mattina i tre anticorpi associati che mi avevano fatto cadere peli e capelli e mi sono ricresciute almeno le unghie».
Ha fatto anche di più, Lama. Buttando all'aria anni di fatiche e montagne di denaro («mi sono impegnato con tre istituti di credito persino la mia casa in collina di Corte Franca e ho speso 75.000 euro solo per registrare il brevetto in Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Portogallo, Grecia, Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda»), pur di dare continuità alla sua invenzione ha avuto il coraggio di tirare dentro nell'affare la Teze Mechatronics, incubatoio di start up, cedendole il 55 per cento delle azioni dell'Eds. Non solo: ha girato un altro 10 per cento al professor Stefano Malavasi, un docente della facoltà di ingegneria civile, ambientale e territoriale del Politecnico di Milano che ha creduto fin da subito al progetto. «Così, se dovessi mancare, lui non potrà di certo abbandonare la mia idea», ragiona l'imprenditore bresciano.
Ed è qui al Politecnico, nei sotterranei del padiglione dove ha sede dal 1939 il laboratorio d'idraulica intitolato a Gaudenzio Fantoli, che in una vasca d'acqua lunga 30 metri è stato costruito il modello sperimentale dell'Energy double system, «unico modo per dare corpo a quella che fino al 2009 era solo una mia fantasia», ammette Lama. Nella maxi tinozza, un battitore d'onda genera, ovviamente in scala ridotta, lo stesso moto provocato dai venti e dalle correnti marine, facendo oscillare l'Eds. I risultati delle prove hanno entusiasmato i ricercatori: dai calcoli del professor Malavasi, basterebbero appena quattro di questi elementi per fornire energia elettrica gratis tutto l'anno a parecchie famiglie di Ancona, dove pure le onde dell'Adriatico sono fra le meno impetuose registrate in Italia. In soldoni, 91 megawatt/ora di energia media prodotta, pari a 36.400 euro l'anno.
Dice Lama che la sua missione, nella vita, è sempre stata quella di mastro Geppetto: creare con il lavoro ciò che prima non esisteva. La sua Tecnomac costruisce solo pezzi unici da applicare all'automazione in campo meccanico, oleodinamico, pneumatico ed elettronico oppure progetta e realizza macchine, attrezzature e utensili per produrli in serie. «In pratica non posso avere più di due clienti per volta, a condizione che non siano in concorrenza, e per accontentarli devo tendere alla perfezione».
Ha detto niente.
«Già, soprattutto per uno come me che è uscito geometra dalle scuole serali».
Non aveva voglia di studiare?
«Ero povero. Mio padre dovette emigrare in Svizzera perché, essendo comunista, qui in Italia non trovava lavoro. Fu assunto come operaio in una fabbrica aeronautica. Io da piccolo ho sentito molto la sua mancanza. Sono cresciuto un po' ribelle, la scuola mi stava stretta».
Come la devo definire? Inventore?
«Mi pare troppo, pur avendo all'attivo quattro brevetti. Anche se i migliori sono quelli che tengo nel cassetto».
Che genere di brevetti?
«Alcuni molto specialistici, come l'Eds. Per esempio uno scanner magnetico per il controllo delle saldature in oleodotti, gasdotti e cisterne. Altri più sfiziosi, come un attrezzo che in un quarto d'ora ossigena i grandi vini rossi facendo ruotare il decanter. È roba mia anche il primo distributore automatico di sigarette collocato in Italia. Oggi però lo rifarei completamente diverso».
Cioè?
«A che servono 8 o 10 motori elettrici per spingere in fuori i pacchetti di altrettante marche? Ne basta uno solo, con un silos verticale da far ruotare a mano fino a portare nell'esatta posizione la colonna di pacchetti del tipo desiderato».
Mi faccia capire in che modo lavora questo benedetto Eds.
«Come avrà osservato, il metodo di funzionamento è facile».
Sì, ma ai lettori non posso farlo vedere: glielo devo spiegare.
«Un galleggiante del diametro di 4-5 metri che fa il suo mestiere, cioè galleggia nel mare. Collegata, a una distanza di 3-4 metri, c'è una pala a forma di cucchiaio che pesca anch'essa nell'acqua. Entrambi sono accoppiati a un generatore che trasforma in energia elettrica il loro continuo movimento».
Su e giù?
«Esatto. Questo perché al largo l'onda dà solo una spinta verticale, ma, avvicinandosi alla riva, la sua cinematica si trasforma: la spinta diventa anche orizzontale. Controprova. Quando lei s'immerge nel mare fino alle ginocchia, viene spinto all'indietro dall'onda. Per evitarlo, deve avanzare di quattro passi e a quel punto il suo corpo si alza nell'acqua».
Di quanta energia stiamo parlando?
«Quella che l'Eds recupera a riva è pari al 45 per cento dell'energia che le onde possiedono al largo. Tenga conto che nei mari italiani le onde sono alte 4 metri al massimo, ma negli oceani arrivano a superare i 20».
L'idea come le è venuta?
«Ero al mare a Creta con mia moglie. Lei aveva le gambe immerse nell'acqua fino ai polpacci ed era girata verso la terraferma. Accanto a sé aveva un'amica. Un'onda le ha fatte cadere sott'acqua. Lì ho capito che il mare spinge. Un amico, Emilios Spanakis, mi ha istigato: Tu che fai macchine strane, perché non progetti qualcosa per sfruttare questa forza mostruosa?. Il primo progetto l'ho buttato giù su carta da pane lì a Creta. Tornato a casa, ho voluto vedere se il sistema di trasformazione dell'energia funzionava. Quando sono riuscito ad accendere 10 lampadine da 500 watt con un semplice modellino in scala, ho capito d'essere sulla buona strada».
Ma quanto viene a costare un Eds posato in mare?
«Una batteria di quattro 280.000 euro».
Orpo.
«Una pala eolica alta 100 metri, che deturpa il paesaggio, costa 1,5 milioni di euro e non produce di certo sei volte l'energia dell'Eds. Se lei toglie gli incentivi statali, nessuna fonte rinnovabile, a cominciare dai pannelli fotovoltaici, è in grado di ammortizzarsi da sola in 20 anni. Questa probabilmente sì».
Come fa a dirlo?
«Il professor Malavasi ha calcolato che quattro Eds collocati ad Alghero, dove si registrano le onde più possenti d'Italia, producono 214 megawatt/ora l'anno, con un cespite di 85.600 euro. A Mazara del Vallo siamo a 164 megawatt con 65.600 euro. Senza contare che il mio sistema non inquina, a differenza dei pannelli solari che, posati al suolo, sviluppano anidride carbonica».
Disturberà la fauna marina.
«Allora bisognerebbe fermare anche le navi. I pesci si sposteranno da un'altra parte, dia retta a me».
Però è brutto da vedere.
«Sono più belle le gru che caricano i container, alte quattro volte, sulle banchine dei porti?».
Mi risulta che non sia in assoluto un'idea nuovissima: nel Mare del Nord c'è già qualcosa di simile.
«Si riferisce al Wave star energy finanziato dal governo danese? Non sapevo neppure che esistesse, me lo fece notare l'ingegner Romano Miglietti, responsabile tecnico del Centro servizi multisettoriale e tecnologico di Brescia, dopo che avevo già creato il mio modello. Quello è un sistema diverso perché sfrutta solo la spinta verticale. Inoltre è un ciclope grande quanto una piattaforma petrolifera e va collocato in mare aperto, con costi di posa e di gestione elevatissimi. Ma poi che senso ha mettere 10 galleggianti uno in fila all'altro a prendere la stessa onda, quando il mio Eds produce pari energia con uno solo?».
Quando lo vedremo in mare?
«Penso che il primo prototipo venga installato nel giro di 18 mesi in Sicilia. Sono in trattative con imprese africane e sudamericane interessate al progetto».
Ma i futuri ingegneri che studiano qui al Politecnico non potevano arrivarci da soli?
«Sembra quasi che l'università per loro sia un passatempo. Magari dovrebbero studiare di meno e provare invece a combinare qualcosa nelle imprese. Ho portato un mio macchinario a Düsseldorf. I tedeschi mi hanno messo nelle mani di un ingegnere assunto due mesi prima. Bravissimo. La sera puliva anche i pavimenti dell'ufficio. Per lui era normale».
Ha provato a parlare dell'Eds a qualche politico?
«Me ne guardo bene. Ho paura. Preferisco tenermi i debiti».
Di quanto è sotto?
«Di 200.000 euro. Per una fattura di 48.000 euro più Iva che non mi è stata pagata sono in causa a Lecce da 11 anni».
Come resiste alla crisi?
«Lavorando di più. Ho detto ai miei ragazzi: si viene in fabbrica anche il sabato. Se mi sono messo a fare ricerca, è proprio perché avevo paura di perdere le commesse e di doverli licenziare. In questo senso le crisi sono benefiche».
Nessuno la aiuta?
«Aiutarmi? Ma se mi sono persino dovuto cancellare per protesta dall'Api, l'Associazione piccola e media industria!».
Per quale motivo?
«Leggo di un bando della Regione Lombardia con finanziamenti per la ricerca sull'efficienza energetica. L'Api mi mette a disposizione un consulente che pretende 5.000 euro. Pago. Passano due mesi. Scopro che costui ha sbagliato a presentare la domanda. Mi rivolgo allora a un avvocato. Conclusione: la Regione ha riaperto i termini e accettato la domanda solo per me senza neppure discutere il ricorso al Tar».
E i 5.000 euro che ci ha rimesso?
«Mi sono stati restituiti. Il vicedirettore dell'Api mi ha chiesto: Ma com'è riuscito a farsi riammettere nel bando?».
Lei che cosa gli ha risposto?
«Se mi dà 2.500 euro glielo dico».
Di che cosa ha bisogno l'Italia per non annegare tra i flutti?
«Di gente che lavori.
È il primo che non incolpa il governo.
«Sono le famiglie, non il governo, a decidere come vanno allevati i figli».
(709. Continua)
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